Eugenio Occorsio, Affari&Finanza 10/2/2014, 10 febbraio 2014
BIANCHI L’AMERIKANO “ECCO COME RENDERÒ POLTRONA FRAU UN MARCHIO GLOBALE”
«Il 2014 sarà l’anno della svolta. Dimostreremo la nostra capacità di diventare un gruppo che va al di là dell’arredamento per ufficio puro e semplice, beyond cubicles and chairs ». Franco Bianchi è stato di parola. Pochi giorni dopo aver pronunciato questa “dichiarazione programmatica” all’Economic Club di Grand Rapids nel Michigan, una specie di Davos del midwest profondo con ospiti fissi quali Bill Clinton o George W. Bush, ha annunciato che la Haworth, il gruppo del quale è amministratore delegato che ha sede a Holland nello stesso Michigan, acquisisce la Poltrona Frau per poco meno di 240 milioni di dollari. E nelle stesse ore ha inaugurato il Blue35, un esperimento simile al Kilometro Rosso di Bergamo di innovazione e “incubatore” di tecnologie specializzate. In questo caso nei mobili per ufficio ma «ben al di là delle scrivanie e delle sedie», per dirla con le parole di Bianchi. «Bisogna cambiare per stare al passo con i tempi », ci conferma al telefono dal suo ufficio nel Michigan. «La nostra azienda doveva tornare competitiva: e oggi per farlo in modo davvero globale o sei quello che costa meno di tutti o sei premium leader con caratteristiche d’innovazione. Noi abbiamo scelto questa seconda strada». Di qui l’integrazione con Poltrona Frau: «Di un palazzo per uffici di venti piani, noi arrediamo i primi diciotto. Per quelli al top, sede dell’alta dirigenza, ci affidiamo al lusso made in Italy».
Bianchi ha compiuto da poco cinquant’anni. Nato a Bologna, laureato in economia alla Statale del capoluogo, cominciò a lavorare da ragioniere all’Amaro Montenegro. «Mio padre era un pensionato ferroviere, mia madre una bidella, bisognava studiare e lavorare ». Dopo tre anni si laurea, e passa in Arthur Andersen per altri tre anni. Dopodiché con un partner, Maurizio Gariglio, «che è stato anche un mio grande mentore», crea la società di consulenza “Metodo”, che porterà dopo altri tre anni all’incontro decisivo: «Facevamo consulenza per ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni, e uno dei nostri clienti divenne la Castelli, che era a quell’epoca divisa fra due famiglie e cercava un acquirente. Il compito era però talmente impegnativo - racconta Bianchi - che finimmo con l’essere assunti dalla Castelli stessa, Maurizio come direttore generale e io come suo vice. Alla fine concludemmo l’accordo con Haworth. Era il 1993». La Castelli diventa di fatto la base italiana per Haworth e i due giovani manager si trovano catapultati fra i quadri dirigenti del megagruppo americano. «Di lì a poco, Maurizio preferì però defilarsi e tornare a fare il consulente, e io mi trovai da solo al vertice». Gli americani sono soddisfatti dell’acquisto: «Erano quasi stupiti che tutte le promesse che gli avevamo fatto si fossero rivelate fondate. La Haworth era in fase di grande espansione internazionale, così quasi subito assunsero un altro capo azienda per Castelli e a me proposero di andare a Parigi ad aiutare il capo dell’Europa a capire il vero valore e riorganizzare le varie società comprate nel continente». A fine ’97 il rientro in Italia, ancora da direttore generale della Castelli- Haworth. «Erano anni gloriosi per la Castelli, nome di punta del design italiano: per il gruppo lavoravano architetti e designerprestigiosi quali Rodolfo Bonetto o Charles Pollock, la sedia Plia disegnata da Giancarlo Piretti è tutt’ora esposta al Moma di New York, la “linea direzionale” Mumbai creata da Doriana e Massimiliano Fuksas è stata venduta in tutto il pianeta », spiega Bianchi. «Il presidente di Haworth veniva spesso in Italia, e mi proponeva di andare da qualche parte, tipo Hong Kong per coordinare l’espansione in Asia». Alla fine arrivò la proposta giusta, all’inizio 2002, quella di trasferirsi nella sede centrale in America. «All’inizio venni nominato chief financial officer, quindi capo del marketing mondiale». Infine nel 2005 la designazione a Ceo.
Per lui, che conserva lo spiccato accento emiliano, l’affare con Poltrona Frau è la consacrazione da manager globale. «E’ un accordo che non è nato da amicizie personali o altri motivi ambigui. Semplicemente dal 2011 lavoriamo insieme su alcuni progetti, e io ho potuto constatare l’alto livello di innovazione tecnica e anche di managerialità». Per l’azienda di cui è Ceo, già presente in 120 Paesi, un fatturato 2013 di 1,41 miliardi (+7,2% sul 2012) al quale si aggiungerà ora quello di Poltrona Frau, è il passaggio da gruppo pur forte ma legato alla semplicità di un “normale” arredamento da ufficio, a grande playermondiale del designe della creatività. «Haworth sta vedendo crescere non solo il suo ruolo di leader del settore, ma sta anche evolvendo verso un nuovo modello di azienda – ha detto Bianchi nel suo keynote speech a Grand Rapids – sempre più orientata alla soddisfazione del cliente attraverso valori propri di innovazione e design».
Bianchi ammette di «avere la fortuna di essere italiano, e all’Italia da sempre si guarda in tutto il mondo quando si pensa alla qua-lità, all’innovazione, al fashionanche in tema di mobili e affini». Ma quello che più lo inorgoglisce è il rapporto di fiducia personale che ha creato con la famiglia Haworth, prima con Dick, seconda generazione, di cui si considera un po’ il figliol prodigo, che è stato quello che è andato a pescarlo nell’hinterland bolognese, chiamarlo in America e infine a volere la sua crescita in azienda fino alla posizione numero uno, e adesso con Matthew, 44 anni, attuale presidente del gruppo, terza generazione della famiglia.
Non sono mancate crisi e clamorose resurrezioni anche nella storia recente della multinazionale del Michigan, fondata nel 1945 da Gerrard Wendell Haworth, il nonno dell’attuale chairman, un insegnante di scuola media che per arrotondare lo stipendio e mandare i figli al college creò una falegnameria nel garage di casa. La compagnia, che inizialmente si chiamava Modern Products e fu ridenominata con il nome di famiglia solo nel 1976, è cresciuta vorticosamente attraverso i decenni. Nel 1994 ha raggiunto il miliardo di fatturato, e nel 2000 ha passato i due miliardi. Nel gennaio dello stesso anno acquisì la Smed di Calgary in Canada, e nel 2003 rilevò la Interface Ar, un’altra azienda del Michigan, tutti specializzati nelle “workspace solutions”. Ma dopo si aprì anche per Haworth un periodo nerissimo, con il fatturato in picchiata. La “maledizione del Michigan”, cominciata con la crisi dell’auto di Detroit che oggi sembra dimenticata, colpì anche il settore dell’arredamento. «Bisogna considerare che trauma spaventoso per questo Paese è stato l’11 settembre 2001», ricorda Bianchi. «Il nostro settore, mobili per ufficio, crollò del 40% in quattro mesi. Una roba mai vista. Il telefono non suonava mai. Per noi fu l’occasione per riflettere e riorganizzarci. Fu un processo lungo».
Chiamato nel 2005 dalla famiglia per risollevare strutturalmente l’azienda, un po’ per volta ce l’ha fatta grazie alle diversificazioni come quest’ultimissima nel design (preceduta da un accordo con l’architetto Giulio Capellini con cui nel solo 2013 sono stati lanciati 21 nuovi prodotti) e anche a iniziative come lo “Health Environment” in virtù della quale tutti i mobili Haworth sono fatti con legno coltivato. Il fatturato ora ha ricominciato a salire, in curiosa coincidenza con la resurrezione di Detroit e dintorni. Bianchi si è sempre fatto un punto d’orgoglio nel non aver abbandonato la zona. «Mi sento orgoglioso di gestire un grande gruppo mondiale con lo spirito di una piccola azienda», ama ripetere. Ricordando che dei seimila dipendenti, 2.600 lavorano nel difficile stato americano. Ora, con una sponda a Tolentino, Marche, si sentirà un po’ più sicuro.