Maria Teresa Cometto, Corriere Economia 10/2/2014, 10 febbraio 2014
BUSINESS I CINQUE RE CHE OBAMA TEME
In cinque gestiscono un patrimonio quasi uguale al valore di tutta l’economia americana. BlackRock, Vanguard, State Street, Pimco e Fidelity — le più grandi società dell’industria del risparmio negli Stati Uniti — controllano investimenti per 12.770 miliardi di dollari, poco meno dei 16.600 miliardi del prodotto interno lordo Usa. Le mosse dei loro responsabili sono studiate con attenzione a Wall Street e su tutti gli altri mercati, e quando un famoso gestore cambia squadra la notizia fa scalpore. Come è successo l’altra settimana con le improvvise dimissioni di Mohamed El-Erian dalla guida di Pimco, la società famosa per avere il fondo obbligazionario numero uno al mondo, il Pimco total return bond fund (237 miliardi di dollari di patrimonio), gestito dal «guru dei bond» Bill Gross. Dietro l’uscita di El-Erian, sembra esserci il suo insuccesso nel trasformare Pimco da gigante specializzato nel reddito fisso a gestore forte anche in Borsa, una missione che ora spetta in particolare alla nuova responsabile degli investimenti azionari, Virginie Maisonneuve.
Ruolo chiave
Pimco (comprata nel 2000 dal gruppo assicurativo tedesco Allianz), gestisce da sola 1.920 miliardi di dollari. Oltre il doppio (4.300) sono nelle casse di BlackRock, alla cui guida c’è Laurence Fink, l’uomo emerso dalla grave crisi del 2008 come il più potente nella finanza mondiale, come ha scritto Vanity Fair nel suo lungo profilo «L’ombra da 12 mila miliardi di dollari di Larry». A parte il patrimonio investito direttamente, infatti, per una fase BlackRock ha controllato anche la gestione di tutti i titoli «tossici» ereditati dal governo Usa con il salvataggio della banca d’affari Bear Stearns, l’assicurazione Aig, il gruppo bancario Citigroup e le due agenzie basate sui mutui immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac.
La lobby
In tutto, il settore dell’asset management negli Usa ha patrimoni per 53 mila miliardi di dollari fra fondi comuni, Etf (Exchange traded fund), fondi pensione e altri prodotti finanziari. Non sorprende quindi che la sua lobby, l’Investment company institute (Ici, l’equivalente dell’italiana Assogestioni) sia fra le più potenti a Washington e che il voto dei gestori nelle assemblee annuali degli azionisti sia ben temuto dai manager aziendali.
Il loro peso su Wall Street e anche sull’economia reale è tale, che le autorità stanno valutando se considerare le maggiori società di gestione alla stregua della banche too big to fail («troppo grandi per fallire»), cioè a rischio di scatenare una crisi sistemica e quindi da sottoporre a una vigilanza speciale. Questa misura straordinaria l’ha suggerita un ufficio studi del ministero del Tesoro, l’Office of financial research (Ofr), nel rapporto «Asset management e stabilità finanziaria» e contro questa proposta l’Ici sta combattendo con tutte le sue forze. I gestori di fondi comuni sono già sotto la supervisione dell’autorità di controllo della Borsa, la Securities and exchange commission (Sec, l’equivalente della Consob) e i loro prodotti sono i più trasparenti sul mercato, sostiene l’Ici, inoltre non rischiano soldi in proprio perché i patrimoni sono dei clienti.
Effetto «gregge»
Ma l’Ofr ribatte che il comportamento dei grandi gestori può provocare choc pericolosi al sistema finanziario, per esempio quando inseguendo le performance creano un «effetto gregge», cioè un’ondata di vendite in Borsa (o di acquisti che gonfiano le Bolle); oppure quando troppe richieste di rimborso dai loro clienti causano problemi di liquidità. Era stata proprio la corsa dei risparmiatori a liquidare i soldi investiti nei fondi monetari dopo il fallimento di Lehman brothers a scatenare il panico nell’autunno 2008, costringendo il Tesoro Usa a garantire lui, temporaneamente, il rimborso di quei fondi come fossero depositi bancari, perché i money market fund di fatto prestano soldi a breve termine a banche e aziende e se crollano loro la stessa economia reale rischia la paralisi. Una controprova, secondo l’Ofr, che una parte importante delle attività dei gestori è simile a quella del shadow banking system (sistema ombra bancario), la rete di istituzioni finanziarie che agiscono come banche (facendo intermediazione di capitali) ma non sono controllate come tali.
La discussione sul che fare è aperta, senza scadenze entro cui prendere decisioni. Fink& co. hanno così tempo per opporsi a nuove regole.