Antonio Signorini, Il Giornale 10/2/2014, 10 febbraio 2014
SE LO STATO STANGA CHI VA IN TRIBUNALE
Roma Il diritto di accesso alla giustizia è fondamentale; «inviolabile » quello alla difesa. Peccato che si stiano trasformando sempre più in privilegi concessi a caro prezzo. Servizi a pagamento e non (solo) nel senso che per esercitarli bisogna pagare un avvocato. È lo Stato a chiedere un biglietto. Un dazio sempre più salato, visto che l’importo dei vari contributi negli ultimi sette anni ha registrato aumenti che vanno dal 50 al 100 per cento. Rincari introdotti da governi di tutti i colori, con effetti che i cittadini conoscono bene. Prendiamo un caso ipotetico. Mario Rossi è in causa per un danno da 23mila euro. Vuole far valere le sue ragioni e sa che dovrà pagare un legale. È talmente convinto delle sue ragioni che è disposto ad arrivare fino all’ultimo grado di giudizio. Quello che forse non ha messo in conto è che lo Stato gli presenterà un conto superiore ai 2.500 euro tra contributi, imposte e bolli.
La famiglia Bianchi, invece, è in causa per la successione di una casa dal valore di un milione di euro. Solo come imposta di registro, dovrà sborsarne 30mila. Un po’ come se stesse ricomprando davanti al notaio un immobile che già gli appartiene, sul quale peraltro dovrà anche pagare le tasse di successione, che però sono tutta un’altra storia. Oppure prendiamo il caso - reale - di uno sfortunato pensionato, caduto dalle scale per colpa di un vicino di casa maldestro e per questo costretto sulla sedia a rotelle. Il giudice gli ha riconosciuto un danno da 300mila euro. Il vicino di casa non li ha e non ha nemmeno i 9mila euro dell’imposta. Tocca alla vittima pagare il conto alla giustizia perché responsabile «in solido» con il suo carnefice, anche se non ha intascato un euro per il danno subito.
Sembrano casi limite, ma è normale amministrazione in Italia. Da quando, a partire da una decina di anni fa, è stato deciso che per risolvere i problemi dei tribunali si deve puntare sulla giustizia pay per view . Oppure, più prosaicamente, da quando si è rotto il tabù, e si è deciso di fare cassa con l’esercizio di un diritto.
Che l’intenzione sia di andare a pescare dove girano più soldi è dimostrato dall’accanimento sulla giustizia civile. Senza contare l’eventuale ricorso alla mediazione (che ora è obbligatoria, ma di fatto si può non pagare), il cittadino inizia la sua gimcana fiscale pagando all’iscrizione al ruolo della causa il contributo unificato. Significa un minimo di 206 euro e un massimo di 1.466 euro, per le cause sopra i 520 mila euro. Prendendo la fascia nella quale ricadono la maggior parte delle cause, tra i 26 mila e i 52 mila euro, si parte con 450 il primo grado, poi 675 l’impugnazione e 900 euro se si decide di arrivare in Cassazione. In tutto, più di 2.000 euro solo di contributo ai quali vanno aggiunti le marche per iscrizione al ruolo e, soprattutto, l’imposta di registro.
Nei casi in cui è prevista - la maggior parte - è del 3 per cento sul valore della causa. Alle associazioni degli utenti e dei consumatori arrivano in continuazione segnalazioni di cartelle esattoriali da migliaia di euro per cause vecchie di anni. Non va meglio per chi si rivolge alla giustizia amministrativa, cioè a chi fa causa alla pubblica amministrazione: 650 euro di contributo unificato e altrettanti per ogni atto impugnato. Per ogni grado di appello il balzello ritorna con sostanziosi aumenti.
Anche i ricorsi sulle multe, ormai, costano più di dell’importo di una contravvenzione media. «Sembra quasi si voglia abituare il cittadino a subire ingiustizie, partendo da quelle che riguardano cifre modeste. E questo non è giusto »,accusa l’avvocato Renzo Menoni, presidente delle Camere civili.
Ma è salato anche il conto a carico delle imprese. Prendiamo un altro caso tipico. Una società di costruzione ha perso una gara di appalto da un milione di euro, ma pensa che il vincitore sia stato favorito dall’amministrazione pubblica. Per portare la questione all’attenzione dei giudici amministrativi deve sborsare, alla stessa amministrazione pubblica che sarebbe anche la sua controparte, 6mila euro. Cifre che per le grandi aziende non sono niente, aggiunge Meononi «ma che possono mettere in ginocchio un artigiano o una società di piccole dimensioni».
L’obiettivo dichiarato dei continui rincari (ultimo quello del bollo scattato in gennaio) è decongestionare i tribunali e quindi accorciare i tempi della giustizia. Difficile dire se sia stato raggiunto. Di sicuro sono staticentrati degli effetti indesiderati. «Il nuovo secolo è iniziato all’insegna di una restrizione, di fatto, dei diritti. Giusto punire ed evitare le cause temerarie, sbagliato restringere cosi tanto l’accesso alla giustizia», commenta Menoni.
La giustizia penale non dovrebbe avere costi. Non ci sono contributi, ma chiunque voglia avere gli atti, li deve pagare. Un tot a copia. «Replichiamo il vecchio sistema napoleonico che prevede il pagamento di un tanto a pagina. Ma ora tutto è diverso. Un tempo i fascicoli erano di pochi fogli, oggi, proprio per l’uso dei computer, quelli da migliaia di pagine sono all’ordine del giorno», spiega l’avvocato Vinicio Nardo, segretario della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane.
Per 100 pagine si devono pagare 21 euro, che salgono a 63 se si vuole la procedura urgente e 79 se si chiede anche l’autentica. Una strategia di « pricing » che sembra pensata da un ufficio marketing avanzatissimo. Meno avanzato il calcolo dei costi degli atti su cd rom. Per ogni dischetto bisogna pagare quasi 300 euro. Tariffa ferma a qualche decennio fa. Ora anche un bambino può masterizzare un disco al costo medio di 30 centesimi. Ma nessuno, ha sentito il bisogno di accorgersene.