Laura Della Pasqua, Il Tempo 10/2/2014, 10 febbraio 2014
LA CRISI ENTRA ANCHE NEI CONVENTI
La crisi entra in convento. In nome dei tagli alla spesa, anche suore e sacerdoti sono chiamati a stringere il «cordone». La «categoria» rimasta finora immune dai provvedimenti restrittivi, comincia ad essere chiamata a fare la sua parte. In Spagna è già successo ma anche in Italia c’è chi chiede ai religiosi di fare sacrifici. Si tratta, nel caso spagnolo delle Clarisse e nel nostro Paese dei cappellani militari.
Il Wall Street Journal riferisce che i problemi del Banco Popular Español, il quinto istituto di credito del paese, si sono riversati anche su una ventina di monasteri, come quello di San Juan de Penitencia, a Alcalà de Henares, sobborgo a pochi chilometri da Madrid. La conseguenza è che le monache Clarisse si sono viste tagliare lo stipendio e sono state costrette a modificare il loro stile di vita, comprese piccole privazioni. In alcuni conventi è stato tagliato il riscaldamento e in molti casi il vitto è stato ridimensionato. Ma cosa hanno a che fare le suore con le banche? Le Clarisse da oltre trent’anni si occupano della gestione di parte dei documenti e della corrispondenza del Banco Popular. L’esplosione della bolla immobiliare e l’aumento delle sofferenze hanno costretto il Banco Popular a tagliare la forza lavoro e a ridurre gli stipendi. Nel caso delle Clarisse, che possono contare su un limitato sostegno economico da parte dell’episcopato spagnolo, questo ha comportato un taglio delle retribuzioni orarie intorno ai 7 euro che si accompagna a una riduzione delle vendite di altri prodotti di conventi e monasteri, come liquori e oggetti di artigianato.
Secondo Mònica Artacho, direttrice dell’organizzazione no profit DeClausura, che promuove queste attività di commercio e di sostentamento, molti conventi «non ce la fanno più ad sostenere le spese».
Sempre di meno, sempre più anziane, le monache di San Juan of Penitencia, un convento con 400 anni di storia, hanno visto dimezzarsi l’orario di lavoro anche per via dello sviluppo della posta elettronica; allo stesso tempo i costi dei monasteri che hanno un continuo bisogno di manutenzione, sono lievitati.
Dalla Spagna in Italia. Dopo il tentativo del governo Monti di far pagare l’Imu sugli immobili regligiosi ad uso commerciale, con una norma talmente macchinosa da risultare di difficile applicazione e di incerto gettito, ecco che il clero torna nel mirino ad opera, questa volta, dei grillini. Il senatore M5S Lorenzo Battista, segretario della commissione Difesa, ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro Mario Mauro nella quale solleva il caso dei cappellani militari. Battista chiede al ministro della Difesa se non ritenga opportuno «porre iniziative legislative al fine di rendere meno gravoso sul bilancio dello Stato italiano il servizio dell’assistenza spirituale delle Forze armate».
Il grillino ricorda che la definizione del ruolo dei cappellani e il loro inquadramento retributivo risale al Concordato. «Questo disciplinava, tra le altre disposizioni, la funzione del cappellano militare, una funzione che ben 81 anni dopo, precisamente nel 2010 con il decreto legislativo 66, è stata equiparata, da subito, all’alto grado militare». Vuol dire, spiega Battista, che «quando un cappellano va in pensione, si porta via la stessa cifra di militare di alto rango, circa 43 mila euro lordi l’anno, e la può percepire già a 62 anni».
L’onere per lo Stato è notevole. Gli stipendi dei cappellani militari costano allo Stato italiano circa 17 milioni, oltre a vari benefit. L’esponente del M5S pone quindi il quesito se «nel momento di grave crisi economica che il nostro Paese sta attraversando, non sia necessario attuare risparmi nelle Forze armate, anche relativamente alla figura dei cappellani militari.