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 2014  febbraio 10 Lunedì calendario

L’INCERTEZZA CHE GOVERNA LA NOSTRA ÈRA


L’inno di questo lungo inverno newyorchese si chiama «Radioactive». Il ritmo incessante delle percussioni di Imagine Dragons, i giovani rockettari di Las Vegas che hanno scritto la canzone, è onnipresente: rimbomba nelle feste alle gallerie d’arte di Chelsea e nelle palestre di Tribeca, nelle boutique di Soho e, soprattutto, nelle cuffie metropolitane dei banchieri di Wall Street.
Ma è il ritornello di «Radioactive» che ne ha fatto la colonna sonora del momento: «Welcome to the new age/ to the new age/Welcome to the new age/ to the new age». «Benvenuti nella nuova era» canta, con voce stentorea, ma angustiata Dan Reynolds, il leader degli Imagine Dragons, prima di confessare di sentirsi radioattivo.
Benvenuti in una nuova era in cui potremmo essere tutti radioattivi o quantomeno non sicuri di essere radioattivi o meno. Benvenuti nella nuova era dell’incertezza.
Gli «Imagine Dragons» hanno colto lo zeitgeist del momento. Le fondamenta tradizionali del sogno americano – mercati, economia, politica e cultura popolare – sono pericolanti e non sembrano capaci di offrire le convinzioni di un tempo.
Basta guardare alle Borse. Dopo un 2013 fantastico, azionisti e operatori hanno passato un gennaio infernale. Il mini-terremoto iniziato nei mercati emergenti ha fatto tremare il sistema nervoso della finanza mondiale: New York, Londra e Tokyo. Il Dow Jones Industrial Average – l’indice-guida Usa – si è mosso di più di 100 punti in 25 dei primi 26 giorni lavorativi del 2014, un’oscillazione così rara che un mio amico ha battezzato «l’altalena della paura».
Come sempre, i movimenti dei mercati sono un sintomo di problemi più profondi. In questo caso, di un’economia global che non è ancora riuscita a liberarsi dalle catene della recessione del 2008. A mezza decade da una crisi, l’attività economica dell’occidente dovrebbe ormai essere in grande spolvero. Anzi, se fossimo in un periodo «normale», le Cassandre già parlerebbero di spirali inflazionistiche, bolle immobiliari e salari alle stelle.
Invece, le banche centrali di mezzo mondo sono concentrate su un pericolo completamente diverso: lo spettro della deflazione, della crescita zero e di un tasso di disoccupazione che non sembra mai scendere.
Mario Draghi, Ben Bernanke e, ora, Janet Yellen sono come il famoso soldato giapponese dimenticato nella trincea alla fine della guerra. Dopo cinque anni di stimolo, dopo aver pompato miliardi di dollari nell’economia reale e aver tenuto i tassi d’interesse così bassi che più bassi non si può, stanno ancora combattendo le battaglie del 2008.
L’America sta meglio di altri, ma tutto è relativo. Gli Usa quest’anno cresceranno molto di più dell’anemica Europa e del povero Giappone ma non abbastanza per trainare il resto del mondo.
Il problema più annoso per gli uomini e donne della presidente Yellen è la disoccupazione. «Chi non lavora, non fa l’amore» cantava Celentano tanti anni fa. Quello in realtà, non si sa. Quel che è certo è che chi non lavora non compra case o automobili o televisori e va pure meno al supermercato. La disoccupazione è la zavorra dell’economia e l’America ne è un esempio lampante. I dati ufficiali diffusi venerdì per il mese di gennaio hanno confermato un trend preoccupante: il mercato del lavoro americano è in folle, non riesce a ripartire.
E’ vero che il tasso di disoccupazione è calato al 6,6% - il livello più basso dal 2008 - ma i numeri non sono la contano giusta. E’ un’illusione ottica: la disoccupazione sembra scendere perché milioni di americani hanno smesso di cercare lavoro. Il fenomeno spaventa gli economisti, che parlano di «disoccupazione strutturale» di chi fuoriesce per sempre dalla forza-lavoro. Nell’America della cosiddetta «ripresa», uno su sei americani maschi dai 25 ai 54 anni - un’età in cui dovrebbero lavorare – è disoccupato.
Di fronte a situazioni come queste, i banchieri centrali non possono fare granché. Ci vorrebbero dei politici coraggiosi – alla Franklin Delano Roosevelt del Dopoguerra – capaci di introdurre riforme radicali nei campi dell’educazione e della formazione professionale. Purtroppo, gente così a Washington non se ne vede (non che a Roma o Bruxelles ce ne siano molti…).
Benvenuti nell’era dell’incertezza e della paralisi governativa.
Ci si può sempre affidare alla fortuna e l’America di fortune ne ha due: l’energia a basso prezzo grazie allo «shale gas», e un fervore imprenditoriale nel campo della tecnologia che ha prodotto Twitter, Facebook, Instagram e migliaia di altre nuove aziende.
Sono due fattori importantissimi che conferiscono agli Usa un vantaggio sia sull’Europa che sulla Cina. Riusciranno a colmare il vuoto lasciato dall’industria manifatturiera e dei servizi, dai milioni di persone che vogliono ma non possono lavorare? Non si sa.
E’ per questo che siamo nell’era dell’incertezza, un periodo in cui principi economici e sociali di un tempo non sembrano più funzionare e non è chiaro cosa li rimpiazzerà.
Ogni periodo ha la musica che si merita. Cinquant’anni fa, l’America accolse i Beatles all’aeroporto di New York e si lasciò trasportare dalle loro melodie semplici e (più o meno) spensierate. Oggi, Dan Reynolds parla di radioattività. Welcome to the new age.