Ferruccio Sansa, Il Fatto Quotidiano 10/2/2014, 10 febbraio 2014
LA FLOTTA DEL FISCO PRENDE IL LARGO
Genova
La flotta del Fisco. Roba da fare invidia agli oligarchi russi o agli sceicchi arabi. Eccola, bestioni da sessanta metri dove una volta prendeva il sole Naomi Campbell. Alcuni sono stati confiscati, sono cioè diventati proprietà dello Stato. Altri (quelli sequestrati) se le accuse saranno confermate, potrebbero esserlo molto presto. Un tesoro da centinaia di milioni di euro.
Sanjir sulla rotta del Quirinale
“L’ultimo acquisto dello Stato è il Sanjir, uno yacht sequestrato nel 2009 al miliardario russo Alexander Besputin. L’accusa? Sempre la stessa: mancato pagamento dell’Iva”, racconta il generale Rosario Lorusso, comandante regionale della Guardia di Finanza ligure. Non parliamo di spiccioli: su un pieno da 90mila euro, si riesce a evadere 45mila. Non c’è soltanto il gasolio: un maxy yacht può evadere milioni di euro l’anno. E Lorusso mostra le fotografie della preda: scafo bianco, slanciato. Lunghezza 38 metri. Basta? In realtà il bello si nasconde dentro: saloni da cento metri quadrati, grandi come due appartamenti di noi comuni mortali; arredamenti in legno pregiato lucidato fino a splendere. Poi snocciolando il rosario dei lussi, si va dalle vasche con idromassaggio al solarium. Quando è stata decisa la confisca, l’autorità giuidiziaria ha chiesto alle amministrazioni dello Stato chi fosse interessato all’imbarcazione. Ma non è facile trovare qualcuno che ne abbia un effettivo bisogno e disponga delle risorse per mantenerla.
Alla fine ecco la sorpresa: si è fatta avanti la Presidenza della Repubblica. Il Sanjir, magari ribattezzato – anche se nella marineria si dice che cambiare nome porti sfiga – dovrebbe sostituire l’Argo, più vecchio e lungo “appena” 24 metri. E subito qualcuno ha arricciato il naso: Giorgio Napolitano in vacanza in Costa Smeralda a bordo della ex-barca di un oligarca russo. Ma non andrà così, non esattamente. Lo yacht sarà utilizzato soprattutto come idroambulanza. Sostituirà così il vecchio Raffaele Paolucci, imbarcazione che aveva sulla chiglia 44 anni di servizio.
Difficile immaginare la faccia del “povero” miliardario russo vedendo il suo yacht sfrecciare per i mari portando immigrati o presidenti di quella Repubblica che qualcuno sperava di ingannare.
La buona stella degli allievi
La Stella del Mattino non brilla più, almeno per quell’imprenditore italiano che aveva avuto la bella pensata di immatricolarla alle Isole Marshall. Ma nel 2010 gli uomini della Finanza della Spezia ci hanno puntato gli occhi sopra. Difficile, del resto, non ammirarla: il “Morning Star”, stella del mattino, è il sogno di ogni velista. Parliamo di un Rivolta 90, cioè novanta piedi, che poi sarebbero la bellezza di 28,42 metri. Sulla coperta svetta un albero alto come una sequoia, capace di reggere vele immense, uno spinnaker grande quanto la cupola di una cattedrale. Un progetto unico, realizzato in Florida sul modello degli yacht che negli anni Trenta regatavano in Coppa America. In tutto fanno 47 tonnellate, per una barca capace di reggere ogni mare. Ma agilissima e veloce. Chissà, forse il proprietario sognava di vincere regate con le barche più belle del Mediterraneo. Gli è andata male: oggi il Morning Star non si chiama più così. Addio nomi poetici e forse un po’ snob. Sarà Grifone. E addio alla bandiera dei paradisi fiscali. Meglio quella della italiana. A bordo i ragazzi della Scuola Nautica della Finanza. Le regate le fanno loro.
Il Limoncello ubriaca l’ambasciatore
Il colonnello Maurizio Tolone estrae la foto di un’altra preda dei suoi uomini. Era di proprietà di un ambasciatore americano nel nord Europa. “Un tipo innamorato del nostro Paese”, racconta Tolone. Già, a giudicare dal nome, amava il limoncello . Ma non le nostre tasse. Fingeva di usare la barca per il noleggio, peccato che la affittasse sempre a se stesso. Solita ricetta. Magari sperava che il passaporto americano tenesse lontana la Finanza. Sbagliato. Del resto quello yacht bianco immacolato non poteva passare inosservato: 36 metri di lunghezza, legno dappertutto. Per non parlare degli interni: non cuccette, quelle sono per i comuni mortali, qui si parla di quattro suite. Stanze degne del Danieli di Venezia. Ma il Limoncello non è un giocattolino. Difficile da nascondere. Così finisce nella rete. Come molti altri. Una flotta sempre più grande.
Il primo passo è il sequestro (come per il Force Blue su cui navigava Flavio Briatore), poi comincia il processo. E alla fine, in caso di condanna, vanno allo Stato. Per diventare, chissà, motovedette, barche di soccorso. O per essere vendute. Il Limoncello ha portato nella casse dello Stato euro sonanti. Tanti.
007 a caccia grossa
Il generale Lorusso e il colonnello Tolone sono una miniera di storie. Come i loro uomini: poche divise, li trovi in jeans, a scartabellare tra faldoni di migliaia di pagine, a navigare su internet, a seguire le navi sul satellite. E, perché no, a consultare rotocalchi. Perché a volte a fregare un evasore è una fotografia. Clic, ecco un ospite illustre, una bella donna sdraiata in costume sul ponte. L’immagine finisce sulle copertine dei giornali, nelle case di milioni di italiani. E negli uffici dei finanzieri che leggono giornali mondani di mezzo globo. Soprattutto d’estate. “Come quella volta che un noto industriale del Nord si lasciò tentare da un’intervista a un settimanale sudamericano. Come poteva immaginare che noi lo leggessimo?”. Zac, gli scappò una frase sullo yacht. Allora era suo e non di una società come aveva giurato e spergiurato. Un lampo di vanità. Fatale. Così dopo poche ore la nave di sessanta metri era sequestrata. A bordo un Picasso che da solo valeva decine di milioni.
Altre volte ci vogliono appostamenti. O soffiate di informatori sparsi sui moli. E scatta l’inseguimento che può durare mesi. Finché una mattina sulla passerella tirata a lucido del maxy-yacht si presentano tre uomini in divisa con un foglio di carta in mano: sequestro. Vittoria? No, non è così semplice.
Sembra un po’ una versione moderna di Robin Hood che prende – non ruba, stavolta – ai super-ricchi per dare ai contribuenti. Uno scontro che è prima di tutto simbolico. Da una parte la Guardia di Finanza con i loro stipendi da poche migliaia di euro. Dall’altra milionari che sotto quello stesso sole passano le giornate sdraiati accanto a modelle alte fino al cielo.
Ma non ascoltate chi tira fuori parole tipo invidia o vendetta del povero statale verso il miliardario. Qui la colpa non è la ricchezza. È tutta un’altra storia: quelle bandiere delle Cayman sono il simbolo dell’evasione fiscale. Mezzo miliardo, secondo le stime della Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, che ogni anno invece di entrare nelle casse dello Stato restano nelle tasche già gonfie degli armatori. Una cifra che da sola vale una piccola manovra. Basta camminare per i moli di un porto come quelli della Liguria e della Costa Smeralda per capire il fenomeno: fino all’80% dei maxi-yacht batte bandiere di paradisi fiscali. Il generale Lorusso ci tiene a ripeterlo: “Noi non siamo, come qualcuno vorrebbe far credere, i castigatori dei maxi-yacht. Sono una delle eccellenze dell’industria italiana. Speriamo se ne vendano tanti, sempre di più. Ma dobbiamo intervenire quando sono utilizzati per evadere il fisco. Cioè sottrarre soldi al nostro Stato. A noi cittadini”. A volte vince il Fisco. Altre gli evasori. È un po’ come il doping: trovato il rimedio, si scova subito un altro modo per aggirare i controlli.