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 2014  febbraio 11 Martedì calendario

ROBERTO CARLOS: «LA MIA VITA FELICE»

Sivas non è Vegas. Nell’unica grande piazza della città, a cui conduce un’unica grande strada, gli uomini si ritrovano a bere tè seduti in cerchio, mentre salgono le voci dal mercato e il muezzin invita alla preghiera dal minareto. Roberto Carlos vive a qualche minuto dal centro, perché in città è al contempo re e straniero. Ha scelto Sivas, antica città bizantina, più vicina alla Siria che a Istanbul, per cominciare la carriera di allenatore: cercava un laboratorio in cui sbagliare in libertà, per poi partire verso città e squadre più nobili. In quattro mesi, però, lo scenario è cambiato: il Sivasspor è quarto e domenica ha fatto saltare il Fenerbahce allo stadio «Quattro settembre», a pochi chilometri dalla moschea. Gala e Besiktas, tornati in corsa in Süper Lig, in primavera potrebbero ringraziare offrendo a Carlos il suo primo maxi-contratto da allenatore.
Il primo in assoluto, invece, qual è stato?
«In Brasile, a 12 anni: tempo pieno in una fabbrica tessile, 200 euro al mese però ne valeva la pena. Quello stabilimento assumeva le ragazze più belle della città e all’argomento ero già sensibile...».
In effetti in Italia abbiamo perso il conto delle mogli.
«Quello è facile: due. Il difficile sono le donne con cui ho fatto un figlio: ne ho otto da sei o sette madri diverse».
Come sei o sette?
«Non me lo ricordo. Allora... una era messicana, una ungherese, le altre brasiliane. Quattro più due, sei».
All’Inter ricordano soprattutto il matrimonio fallito con Hodgson nel 1996.
«Voleva farmi giocare ala, io volevo giocare terzino. Però non è colpa sua se sono rimasto un solo anno».
Chi è il giocatore più forte visto in Italia?
«Totti. Se parliamo in assoluto, Zidane e Ronaldo. Una volta a Madrid stavo uscendo da un ristorante quando si avvicinò una signora: “Ronaldo, Ronaldo, mi firmi un autografo?”. E io: “Ok, mi dia il foglio. Con affetto, Ro-nal-do”. Quando lei capì, andò dalla Polizia a denunciarmi. Ho dovuto spiegare ai poliziotti che scherzavo».
Chi è il più matto incontrato in una vita di calcio?
«Gravesen, il danese ex Real. Viveva a un ritmo accelerato. In campo era divertente: ti faceva dei falli atroci e poi si metteva a ridere. Però una bravissima persona...».
Gli anni del Real sono quelli delle vittorie: tre Champions, il Mondiale. Qual è stato il giorno più felice?
«Quello in cui ho salvato la vita a Roberto Carlos junior, mio figlio adottivo. Aveva cinque mesi e un problema molto grave al cuore: senza operazione sarebbe morto in una settimana. Adesso ha 12 anni».
In quegli anni Roberto Carlos-Seedorf era coppia fissa. Clarence diventerà un buon allenatore?
«Certo, in campo è sempre stato leader, voleva insegnare tutto a tutti. Kakà mi ha detto che Clarence capisce bene i giocatori ma io lo sapevo, abbiamo vissuto nella stessa casa per un anno e mezzo: ogni volta stava in bagno tre ore a sistemarsi quei capelli con una crema cattivissima. Insopportabile».
È sempre stato così serio?
«Suonava a caso agli appartamenti dei vicini e, se quelli rispondevano, diceva che aveva delle pizze da consegnare. Abbiamo tutti un lato infantile».
Carlos invece è un allenatore rivelazione: quarto. Piani per il futuro?
«Due anni a Sivas, poi...».
Come due anni?
«Ah, lo sapete già? Va bene, uno. Per la prossima stagione ho due offerte concrete (una dalla Cina, ndr ) e con altre 4-5 squadre ho già parlato. A maggio dirò dove vado, forse in Turchia, forse in Spagna».
Che fine ha fatto la Bugatti Veyron, l’auto più veloce del mondo?
«La tengo in garage a Madrid. Per contratto posso usarla solo io, perché ha più di 1.000 cavalli contro i 700-800 di una Formula 1: è troppo pericolosa, e poi io non voglio che un altro tocchi la mia auto».
Mai guidata in città?
«Impossibile: in Brasile so dove sono gli autovelox, a Madrid no. E poi non sono appassionato come una volta, con le auto è come con gli orologi e le donne: dopo un po’, mi stufo».
Giusto per completare il censimento: è vero che in dotazione c’è anche un aereo?
«No, era un elicottero. Ma in Brasile avere qualcosa di così caro è offendere molta gente povera. L’ho venduto».
C’entra la religione?
«Sono molto religioso anche se non vado in chiesa, no grazie. Mi inginocchio e resto in adorazione a casa, è uguale».
Anche perché a Sivas ci sono solo moschee...
«Dio è lo stesso, cambia solo il nome: per noi è Gesù Cristo, qui Allah. Io gli ho parlato prima di ogni partita».
Quella volta nel ’97 a Lione fu generoso. La punizione alla Francia è sovrumana.
«Mai capito come mi è uscita. Usavo scarpe strette, e di sicuro hanno aiutato. Il pallone era molto leggero, e ha aiutato. La mia coscia sinistra ha una circonferenza di 64 centimetri, e anche quello c’entra. Però il tiro con le tre dita l’ho provato mille volte. Non mi è mai più riuscito».
Qual è stata la cosa migliore fatta in carriera con il piede destro?
«Andare in bicicletta, perché col destro spingo più forte. In campo, niente di niente: 2 gol in 25 anni. Tutto quello che Dio mi ha dato per il sinistro, per il destro me lo ha tolto. Mio papà era destro, i miei figli sono destri e anche io non scrivo con la sinistra. Mia mamma me la legava dietro la schiena perché non imparassi».
Parliamo di Mondiali. Francia ’98.
«Sono stato il primo a vedere la crisi di Ronaldo, sul letto dell’hotel prima della finale. Per me era un attacco epilettico. Ho ancora paura: tremava, era rigido, tutto bloccato. Non aveva il fisico per giocare ma avevamo mezz’ora per decidere. E Ronie in Brasile è come un Dio, doveva esserci».
Giappone e Corea 2002.
«Eravamo la famiglia Scolari: tutti amici, Cafu e Ronaldo i leader, io un clown. Il bambino della famiglia».
Brasile 2014.
«Vince il Brasile, se dico un altro nome mi uccidono. Ma mi fa paura la Germania».
Si può spiegare che cos’è l’Anzhi a chi non lo ha mai visto dal vivo?
«Kerimov aveva il sogno di lavorare con me e mi ha fatto quel supercontratto. È una persona come noi ma se vai a casa sua e suoni, ti aprono 15 guardie del corpo. Lì è pericoloso...».
Più di Makhachkala?
«Mai avuto paura a Makhachkala. La gente lì è carina, ma la città è una follia. Una follia».
È vero che è finito tutto per Eto’o?
«Ha il suo carattere. Non ho niente contro di lui però Samuel vuole controllare tutto. Se ci sono un allenatore e un direttore, non puoi parlare con il presidente per decidere».
Si può parlare della banana lanciata nel finale di Krylya-Anzhi, nel 2011?
«Sarei uscito dal campo anche se fosse successo al terzo minuto. La gente ha problemi a casa, viene allo stadio e si sfoga: mi fanno pena. Quell’uomo mi ha lanciato la banana, poi mi ha chiesto di fare una foto».
Com’è finita?
«Ha fatto tre mesi di carcere. Gli hanno fatto mangiare solo banane. Colazione, pranzo e cena».