Paola Cortellesi, Cristina Rogledi, Oggi 29/1/2014, 29 gennaio 2014
CARLO, PERCHE’ TI PIACCIO?
Roma, gennaio
Carlo, ma perché hai scelto me?». Seduta nel salone di Verdone con vista su tutta Roma, Paola Cortellesi, mette gli occhiali, impugna la penna e si cala; in via, del tutto eccezionale nel ruolo della giornalista. Il suo inedito compito è intervistare per Oggi il “suo” regista, Verdone, che t’ha diretta nel film Sotta una buona stella (nelle sale dal 13 febbraio). La Cortellesi nella commedia è Luisa» la vicina di casa di Carlo, una donna che avrà un ruolo determinante: Verdone, invece, è Federico Picchioni, un uomo che si separa dalla moglie quando i figli sono ancora piccoli e da allora provvede al loro mantenimento ma si dimentica completamente di fare il padre.
«Dai Paolè, buttate», dice Verdone divertito dalla situazione.
Carlo, scusa, ti sei acceso una sigaretta e allora ne approfitto: quand’è che smetti di fumare?
«Eh no, non vale! Vabbè, smetto quando esce il film. Scrivilo pure».
I lettori di Oggi som testimoni eh! Adesso dimmi perché ti sembravo giusta per il ruolo di Luisa. E poi vorrei sapere: che cos’ho in comune con lei secondo te?
«Luisa è stata scritta su misura per te. Ricordi quando venni ospite a Zelig e ti dissi: “Il prossimo film lo facciamo insieme”? Ecco, era vero. Ti ho scelta perché in te ho visto un’intelligente leggerezza e tanto buon senso. E poi mi è piaciuta la classe con cui padroneggi il palcoscenico. Viviamo in un mondo di nevrotici e ho apprezzato lo straordinario controllo che hai della tua emotività. Sotto una buona stella è la storia della caduta e della resurrezione di un padre. Una rinascita che si compie anche grazie all’incontro con Luisa. Quando muore all’improvviso la ex moglie del mio personaggio, Picchioni, la sua convivenza forzata con i due figli diventa una vera e propria guerra. È il buon senso di Luisa che aiuta questa famiglia a ricomporre i pezzi».
Scusa Carlo, ma stai parlando di me o del mio personaggio?
«Sto parlando di te. Sei perfetta per fare Luisa perché quelle caratteristiche le possiedi davvero. Ti ho osservato: hai uno straordinario approccio al quotidiano. Sei una donna realizzata, felice del marito, della figlia. Forse anche per questo piaci molto anche al pubblico femminile».
Evvai! Mi lusinghi. Di’ la verità, Luisa è la vicina che vorresti anche a tu.
«Eh sì! Una vicina pericolosa però. Come fai a non innamorarti di una così?».
Carlo, quand’è che il tuo personaggio capisce le sue colpe rispetto ai figli?
«È una scena cruciale. Picchioni sta festeggiando il compleanno quando arriva la telefonata di suo figlio Niccolò, che non chiama mai, e lo avverte che la mamma è gravissima in ospedale. Quando Picchioni arriva lì, vede i suoi figli abbracciati che si fanno forza, lo guardano e poi gli voltano le spalle, come se non esistesse. In quell’istante realizza che non è mai stato un padre».
Ho una curiosità: che figlio sei stato tu?
«Prima di tutto un figlio fortunato, con due grandi genitori. Ho avuto una madre molto emotiva e intelligente che mi ha trasmesso il gusto dell’ironia e dell’osservazione. Mio padre, invece, mi ha insegnato il rigore e mi ha fatto viaggiare molto. Da parte mia, ho sempre dimostrato di avere una vena artistica e sono stato anche un ragazzo molto malinconico. Per un lungo periodo sono andato a rifugiarmi sul terrazzo condominiale per fumare di nascosto e guardare il tramonto in silenzio».
Carlo, ma sei un crepuscolare!
«Assolutamente sì. Anche nei miei film c’è sempre una patina di malinconia perché è una parte di me stesso».
È difficile cimentarsi con la commedia?
«Sì. Devi mantenere nel tono della commedia temi delicati e forti che sarebbero da film drammatico. La bravura degli sceneggiatori e del regista è capire fino a dove spingersi sul lato serio per poi rientrare nel tono leggero. Serve molto senso dell’equilibrio».
Se tu dovessi sintetizzare tre comandamenti per essere un buon padre?
«Penso alla qualità del tempo passato insieme. Mio padre era sempre in viaggio ma quando era a casa, era un papà eccezionale. La domenica smetteva di essere il grande professore, veniva con me e mio fratello Luca a giocare a pallone sotto il sole, in canottiera. Poi c’erano i sabati in cui ci portava nelle gallerie d’arte e d spiegava il perché del cubismo o del futurismo. Io ho capito che per essere un buon padre devi anche capire quando è il momento di smettere di fare il “preside” per imparare dai figli. Questo passaggio avviene solo se c’è dialogo e attenzione».
I tuoi film indagano sempre nei rapporti di coppia e nella famiglia. Perché porti avanti da anni questa scelta?
«Perché più passa il tempo e più sento che la famiglia è importante e lo dico che io sono separato, anche se ho un ottimo rapporto con mia moglie Gianna. La famiglia è davvero l’unico baluardo, l’unica roccaforte in questo mondo così smarrito. Di chi ti fidi? Io di nessuno. Possiamo costruirci un isola felice tra di noi e possiamo farlo da soli, non abbiamo bisogno del governo e dei politici. È una grande possibilità, non va sciupata».
Picchioni lavora nel mondo della finanza e perde tutto. È una critica a quell’ambiente?
«Viviamo nel mondo delle banche, siamo schiavi della finanza e la cronaca ogni giorno ci racconta di maxi truffe. Io osservo il sociale e parto da lì, non so scrivere un film sganciato dalla realtà».
Hai mai rischiato di essere un padre come Picchioni?
«No. Però a un certo punto ho rischiato di perdere dei momenti di crescita dei miei figli perché non davo quella qualità di presenza di cui avevano bisogno. Era il 1999, presi Paolo e Giulia e partii per l’America. Quel viaggio ci aprì a un nuovo rapporto. Loro si ammalarono e io li curai, così mi videro fare cose da padre, come correre in farmacia, pulire dove erano stati male e questa “nomalità” fu la nostra salvezza. Da allora viaggiare insieme è una consuetudine».
Sul set mi sentivo quasi a casa. Sono arrivata intimorita e poi, invece, mi è sembrato di conoscerti da sempre. Ero a mio agio.
«È vero, è stato facile lavorare insieme. Paola, io ho la sensazione che tu sia una delle migliori attrici con cui ho lavorato. Lo dico: insieme siamo una coppia foltissima!».
Carlo, il tuo protagonista valuta l’idea di rimettersi in gioco in amore. Tu hai mai pensato di rifarti una vita?
«Sì, ho provato a mettermi in gioco, ma mi sono reso conto che era troppo complicato. È un argomento molto delicato: è difficile spiegare a una donna che frequenti che tu hai un buon rapporto con la tua ex moglie e che la tua è ancora una famiglia unita. Le persone che ho incontrato non l’hanno capito. Peccato».
Paola Cortellesi (a cura di Cristina Rogledi)