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 2014  gennaio 29 Mercoledì calendario

ROBERTA E LE ALTRE NÉ TOMBA NÉ GIUSTIZIA


Milano, gennaio
Femminicidio ma anche lupara bianca. Far sparire il corpo della moglie o della compagna, dopo averla assassinata, può diventare una garanzia d’impunità. Se non si trova il corpo della vittima manca la prova regina. Ma è così facile far sparire una persona? Pare proprio di sì se dopo 22 anni il Pm veneziano Cario Nordio, che aveva archiviato il caso, oggi, seguendo le rivelazioni di un collaboratore di giustizia, ha riaperto il giallo di due donne dell’isola di Burano scomparse la sera del 27 ottobre 1991. Paola Costantini, 29 anni, e la nipote Rosalia Molin, 25, quella sera col vaporetto raggiunsero Cavallino Treporti. Volevano andare a Jesolo ma sparirono nel nulla. Le hanno cercate per 20 anni, in laguna e sulla terraferma, ma anche un magistrato esperto come Carlo Nordio si era arreso. Poi improvvise e inaspettate sono arrivate le rivelazioni di un detenuto pugliese: «Sono state aggredite e violentate da quattro uomini. Le hanno uccise e seppellite a Punta Sabbioni, vicino a un campeggio». Ecco perché proprio in questi giorni gli inquirenti hanno cominciato a scavare nella zona. Dopo 22 anni il giallo forse è vicino alla soluzione, ma gli assassini nel frattempo dove sono finiti? E dove sono finiti gli assassini di Roberta Ragusa, Francesca Bonetti, Silvana Pica, Paola Landini, Patrizia Rognoni, Cristina Golinucci, Erika Ansermin, Mariella Cimò, otto donne svanite nel nulla negli ultimi anni? Sono state quasi certamente uccise, ma i loro aguzzini sono impuniti, soprattutto perché non sono stati trovati i corpi delle vittime. Per ciascuna di queste donne scomparse infatti c’è una storia, ci sono degli indizi e dei sospetti, per alcune anche pesanti, ma non c’è una sola prova. E le indagini arrancano o sono state archiviate.
Da due anni Antonio Logli, il marito di Roberta Ragusa, è indagato per omicidio e occultamento del cadavere della moglie. Il Procuratore della Repubblica di Pisa Ugo Adinolfi lo accusa, dice di esser certo della sua colpevolezza, ma intanto, a due anni dalla scomparsa della donna, non lo ha ancora interrogato. Ha molti sospetti, qualche indizio ma nessuna prova. Non ha elementi per trascinarlo a processo. Rischia di interrogarlo e doverlo prosciogliere. E ha solo tre mesi di tempo. Il 7 maggio scadono i termini poi il caso sarà archiviato.
Roberta Ragusa è sparita la sera del 13 gennaio 2012, qualche ora dopo il naufragio della Concordia. L’ultimo a vederla viva, per sua ammissione, è stato il marito. Da due anni sostiene che è andato a dormire poco dopo le 23 lasciando Roberta in cucina mentre stilava la lista della spesa per il giorno dopo. Alle 6.30 del mattino, quando è suonata la sveglia, Logli dice di essersi accorto che la moglie non era con lui. L’ha cercata ovunque, anche al cimitero, pensando che Roberta fosse andata a pregare sulla tomba della mamma morta da poco. Alle 13.30 si è presentato ai Carabinieri per denunciarne la scomparsa. Una scomparsa che per almeno una settimana è rimasta sotto traccia perché giornali e televisioni erano impegnati a raccontare il naufragio della Costa Concordia e perché gli inquirenti credevano a un allontanamento volontario. Anche perché c’erano stati alcuni avvistamenti, poi rivelatisi falsi. La casa e l’autoscuola di Antonio Logli e Roberta Ragusa furono perquisite e “analizzate” dal Ris solo il 28 febbraio, un mese e mezzo dopo la scomparsa. L’eventuale assassino aveva accumulato un vantaggio enorme. E nel frattempo si era scoperto che Antonio Logli da anni aveva una giovane amante, Sara Calzolaio, che passava le giornate gomito a gomito con la moglie, facendo prima la baby sitter e poi la segretaria dell’autoscuola.
Il “triangolo” si consumava in casa. Logli cercò invano di celare il segreto distruggendo il suo cellulare e quello di Sara. Entrato nel mirino degli inquirenti, le indagini si sono concentrate su di lui. Altre possibili piste sono state abbandonate o forse non sono mai state prese neppure in considerazione, ma gli sforzi maggiori sono stati fatti per cercare il corpo di Roberta.
L’HANNO CERCATA CON DRONI E SENSITIVE
Mai si era visto un così imponente e variegato schieramento di forze: Carabinieri, Polizia, volontari del Soccorso alpino, vigili urbani, sommozzatori, rocciatori, speleosub, Guardie forestali. Vigili del fuoco, natanti, elicotteri, georadar, persino un drone, e, non potevano mancare, maghi e sensitive. Uno sforzo enorme senza alcun risultato. Dopo due anni siamo al punto di partenza e a nulla sono valsi gli interventi di alcuni discutibili testimoni e gli avvisi di garanzia estesi anche a Waldemaro Logli, il padre di Antonio, per concorso nell’occultamento del cadavere e a Sara Calzolaio per favoreggiamento. Dove è finita Roberta Ragusa?
Antonio Logli non ha mai parlato. Solo una volta si è lasciato sfuggire: «Ma cercano la verità o un colpevole a ogni costo?». «La stranezza di questa inchiesta è che neppure a livello ipotetico ci siano piste alternative», aggiunge il suo difensore, l’avvocato Roberto Cavani di Pisa. E allora? «Se non troviamo il corpo di Roberta siamo bloccati», risponde sconsolato il Procuratore di Pisa.
MACCHIE DI SANGUE IN AUTO E IN CASA
Meno pessimista appare Francesco Verusio, Procuratore di Grosseto, che da tre mesi sta indagando sulla scomparsa di Francesca Benetti, una bella signora che da alcuni anni aveva lasciato Cologno Monzese (Milano) per andare a vivere in una villa circondata da un grande parco, in Maremma, a Potassa di Gavorrano.
È meno pessimista perché intanto ha fatto arrestare Antonio Bilella, il custode della villa e della tenuta che secondo l’accusa, non solo sarebbe responsabile della scomparsa ma anche dell’omicidio della donna. L’uomo è stato bloccato mentre cercava di far sparire il pianale della sua auto. E su quel pianale gli inquirenti hanno scoperto grandi macchie di sangue di Francesca. Più che un indizio sembra una prova schiacciante, anche perché subito dopo sono state trovate altre tracce di sangue nel sifone del lavandino, su una sedia, su un cuscino e sul pavimento della cucina della villa. Segni chiari di un’aggressione e di un omicidio. Ma Antonio Bilella, un pastore siciliano che si era trasferito nel Grossetano, in carcere anziché rispondere alle domande del magistrato, anziché rivelare dove ha nascosto il corpo di Francesca Bonetti, legge la Bibbia che si è fatto prestare dal cappellano e ripete: «Sono innocente. Non so nulla di Francesca». Anche se molti testimoni hanno raccontato che Francesca di quell’uomo non solo aveva paura ma lo voleva licenziare perché aveva mostrato una morbosa attrazione nei suoi confronti.
Per tre mesi un centinaio fra Carabinieri, Guardie forestali e volontari hanno cercato il corpo della donna. Sono stari scandagliati laghi, pozzi e invasi artificiali, è stato perlustrato il bosco palmo a palmo fra. anfratti e dirupi, sono stari fatti intervenire cani molecolari ed elicotteri ma della donna non è stata trovata traccia. Tanto l’assassino è stato maldestro nell’ucciderla lasciando ovunque tracce di sangue, tanto invece è stato abile nel far sparire quel povero corpo. Se non lo trovano Antonio Bilella ha qualche speranza di uscire indenne da questa inchiesta, mentre il Procuratore Verusio non ha dubbi: «Andrà comunque a processo per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Dovrà dirci dove l’ha nascosta.