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 2014  febbraio 09 Domenica calendario

SULLA TURCHIA DIFFICOLTÀ POLITICHE E MONETARIE


«Non può esserci nessuna crisi la prossima settimana, ho l’agenda piena». (Henry Kissinger)
Ce n’era proprio bisogno? Della Turchia, dico. Chi si era accorto della Turchia? A parte quelli che lo fanno per lavoro, intendo. Come il Fondo monetario internazionale, che ha pubblicato i risultati della sua ultima consultazione da articolo IV (sono rapporti periodici che teoricamente hanno la funzione di una sorta di sistema di preallarme) poco più di un mese fa, e accennava ad alcuni motivi di preoccupazione. Per esempio, secondo il Fmi, "l’aspetto più preoccupante è l’allargamento della posizione corta in cambi delle società non finanziarie, schizzata dai 78 miliardi di dollari del 2008 ai 165 di oggi".
Il rapporto proseguiva indicando che i rischi non erano consistenti, anche perché "il regime di cambio fluttuante rende meno probabile un aggiustamento particolarmente ampio e brusco del tasso di cambio".
A guardare i dati non sembrerebbe: la lira turca sta precipitando.
Qualitativamente parlando, questa sembra la classica crisi da mercato emergente: affluiscono in massa capitali stranieri, c’è una brusca impennata dell’indebitamento del settore privato in valuta estera e poi i capitali stranieri girano i tacchi e filano via.
Quantitativamente, la situazione non sembra così drammatica: il debito estero della Turchia ammonta ad appena il 40 per cento del prodotto interno lordo (almeno prima che la lira turca colasse a picco) e possiamo presumere che le imprese non siano eccessivamente indebitate. Però il problema è che è in atto anche una crisi politica, non soltanto valutaria.
Ah, e poi c’è il problema del contagio tra i mercati emergenti. Meraviglioso.
Tutto questo succede in un momento in cui la ripresa in Occidente è ancora molto debole e il rischio di deflazione aumenta. In un recente editoriale intitolato "Il mondo rischia uno shock deflattivo per lo scoppio della bolla del credito nei Brics", Ambrose Evans-Pritchard, redattore di finanza internazionale per The Telegraph, è più allarmista di quanto non sia io, considerando che si tratta di economie piuttosto piccole (Turchia, Sudafrica) o non eccessivamente indebitate (India). Ma di certo non è quello di cui ci avremmo avuto bisogno in questo momento. E non è nemmeno una casualità.
Se prendete sul serio l’allarme sul rischio di una stagnazione secolare (e fareste bene a prenderlo sul serio), allora abbiamo un problema cronico di un eccesso di risparmio e carenza di buone opportunità di investimento, che significa che la gente si sente ricca solo quando il denaro pensa di trovare più posti validi dove essere messo a frutto di quanti ce ne siano in realtà: e lo capisce presto, con effetti assai spiacevoli.
Tornerò probabilmente in modo molto più approfondito su questi argomenti quando mi sarò rimesso in pari su quello che succede in riva al Bosforo.
(Traduzione di Fabio Galimberti)