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 2014  febbraio 09 Domenica calendario

COSÌ IL POSTER DIVENNE DI MODA


Colori forti, contrasti netti, figure femminili provocanti, animali fantastici, mondi da favola, ironia e gioco sono caratteristiche e temi che si intrecciano nei manifesti pubblicitari realizzati tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo. I muri delle città prima della comparsa dei manifesti erano spogli, dedicati alle comunicazioni ai cittadini (“il sindaco dispone...”) e le poche pubblicità venivano declinate da quelle ideate per i quotidiani e i periodici con una forte prevalenza del testo rispetto all’immagine. La città, centro economico, punto di scambio e di incontro, diviene il luogo ideale per comunicare, per creare i primi modelli sociali a cui tendere, dialogando con un ceto sociale in grande trasformazione, desideroso di crescere, di conoscere e di consumare novità e prodotti. Ed ecco allora la nascita, la crescita e il successo del manifesto pubblicitario come strumento di promozione di un nuovo “vivere”, un vivere positivo, delicato, sorridente, ironico a volte quasi surreale, dove l’informazione come un palla da biliardo sul tavolo verde giunge all’obiettivo spesso di sponda, mai direttamente, con consuetudini e modalità proprie. Racconta Dino Villani: “Tutta la vita cittadina andava assumendo un caratteredi maggior dinamicità; gli uomini trovavano oramai troppo lenta la carrozza e ricorrevano alla bicicletta, alla prima automobile, ai tram a cavalli e la ferrovia aveva già infittito la sua rete sì da rendere facilissimi gli spostamenti da centro a centro. L’affluenza verso le grandi città (che vedevano aumentare sempre di più il loro agglomerato urbano, in seguito al moltiplicarsi delle industrie ed all’intensificarsi dei commerci) aveva dato alle vie un aspetto diverso. La tranquillità di un giorno era sparita, ed i rari passanti si trasformavano in folla. Un manifesto affisso per strade cittadine poteva essere visto da un grande numero di persone, ma di persone che non avevano il tempo per fermarsi a leggere”
Lo sviluppo dell’uso del manifesto come strumento di promozione accresce il numero degli illustratori coinvolti e conseguentemente anche quelle figure professionali che saranno poi presenti nelle più strutturate agenzie pubblicitarie del Secondo dopoguerra. I primi tecnici del settore cercano di definire delle regole generali la prima delle quali è rivolta a suddividere i manifesti in categorie stabilendo per ognuna la relativa efficacia: i manifesti evocativi, quando il soggetto non ha un rapporto diretto con il prodotto proposto; i manifesti dimostrativi, quando il prodotto raccomandato è presentato con un immagine che ne dimostra l’impiego o l’utilità; i manifesti suggestivi, quando l’energia e la concisione dell’illustrazione, nonché per il colore il manifesto assume il potere di suggerire, incitare, suggestionare a compiere l’atto determinativo voluto.
Se Cappiello e Mauzan con le loro creazioni inventano soluzioni a volte evocative, altre suggestive, e raramente dimostrative, un altro importante protagonista della pubblicità di quegli anni, Severo Pozzati in arte Sepo (1895-1957), deve il suo successo nell’aver dato centralità assoluta al prodotto. Nel 1928 firma il manifesto per Noveltex che R. L. Dupuy su “Vendre” commenta così: “Nel manifesto Noveltex la semplificazione e lo sfrondamento totale raggiungo il massimo. Ed è tanto più notevole il fatto, in quanto si tratta in questo caso diun oggetto di una semplicità estrema come geometria e come colore: un colletto. Si ricorda la sbalorditiva visibilità di questo manifesto nel quale giocano sobriamente ma potentemente il rosso, il bianco, il nero ed il grigio. Qualche linea, alcuni piani massicci, un nome, è tutto”. Racconta Sepo in un’intervista nel 1958: “Se il mio stile ha subito un’evoluzione, dopo la mia prima maniera cappielleggiante, essa fu dovuta, più che all’influenza delle arti belle, all’intento, sentito ed espresso, di una sempre maggior volontà di chiarificazione pubblicitario-artistica ”. Dino Villani commenta le invenzioni dell’artista con queste parole: “Le creazioni di Sepo per Balto, Noveltex ed Amieux mi avevano particolarmente colpito perché mi pareva assommassero i pregi della nuovascuola sino allamortificazione dell’estro, per dare risalto e valore soltanto al prodotto e allamarca, con una tecnica che riusciva spesso a offrire una forza scultorea al manifesto, pur lasciandogli una notevolissima validità pittorica. Cappiello aveva saputo rendere il manifesto comprensibile anche agli analfabeti per i quali Cinzano non era Cinzano ma la ‘Zebra Rossa’ o Thermogène non era Thermogène ma il ‘Pierrot verde’ che buttava fuoco dalla bocca; Sepo era riuscito a far ‘vedere’, attraverso la suggestione grafica, quello che si voleva ‘vendere’”. Una caratteristica della produzione italiana di quegli anni è il ruolo centrale della figura femminile, un figura senza veli e senza censure portatrice di novità nella società e nell’economia.E la calza è sovente il mezzo o il pretesto, in anni in cui il nudo femminile è interdetto e il suo uso confinato a situazioni rigidamente codificate, racconta Gianpaolo Fabris, per entrare nel mondo del visto e non visto, dell’ammiccamento, dell’eros. Ciò che si vede non è in realtà molto: talvolta nello spumeggiare delle trine, sotto la giarrettiera, si intravede appena e si indovina un cantuccio di vera pelle nuda il cui biancore contrasta con il nero del reggicalze e della calza. Talvolta è il color carne della calza a svelare ciò che nasconde, a evidenziare con grande sensualità zone segrete, a far risaltare la silhouette delle gambe. Spesso è l’espressione maliziosa del volto o del corpo a erotizzare la situazione. Talvolta l’elemento trasgressivo è esaltato dall’innocenza del volto che contrasta palesemente con la parziale nudità: ma il più delle volte – conclude Fabris – il messaggio sessuale è esplicito anche se soltanto affidato alla suggestione delle immagini.