Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 08 Sabato calendario

BREMMER: ITALIA NEPOTISTA


L’INTERVISTA
LONDRA
Non capita spesso di avere un interlocutore quasi onnisciente. Che conosce le situazioni politiche, sociali ed economiche di tutto il mondo, che è in grado di predire il futuro grazie alla palla di cristallo di analisi e dati sul rischio. Perché questo fa Ian Bremmer: previsioni e calcolo delle dinamiche nazionali che influenzano i mercati e gli investimenti in tutto il globo. Insomma, un indovino del terzo millennio, uno scienziato della politica diventato ormai un guru a Wall Street. Americano, 44 anni, fondatore di Eurasia Group, già autore di testi diventati fondamentali per capire l’economia di oggi, qualsiasi cosa dica viene presa per oro colato. Lo abbiamo raggiunto nel suo ufficio di New York per tracciare una mappa geopolitica di vincitori e perdenti. Quale Paese si distinguerà per crescita e Pil? Chi deluderà di più? La crisi è servita qualcosa all’Europa?
Mister Bremmer, per spiegare i problemi del capitalismo lei ha scritto un libro sul mondo G-Zero, diventato un bestseller. Ci spiega?
«G-Zero è il mondo di oggi senza leadership globale. Ed è un peccato perché proprio oggi così tanti problemi vanno al di là dei confini nazionali: il cambiamento climatico, le minacce alla stabilità dei mercati, gli attacchi informatici, il terrorismo e l’approvvigionamento di cibo e acqua. Il bisogno di cooperazione internazionale non è mai stato così forte dal tempo della seconda guerra mondiale. Eppure non c’è un Paese o un gruppo di Paesi in grado di guidare l’agenda globale. Questo contribuisce al rallentamento della ripresa e delle economie emergenti».
A proposito di ripresa parliamo dell’Europa. L’euro è davvero fuori pericolo?
«In Europa non c’è ancora ripresa. Ma sicuramente ha superato la recessione e non c’è mai stato un vero rischio per la sopravvivenza dell’eurozona (in tanti lo hanno esagerato). Le difficoltà adesso sono la mancanza di crescita e la disoccupazione. Inoltre gli euroscettici sono in aumento, con il tempo diventeranno un problema per la stabilità europea tanto quanto lo è stato la crisi delle banche».
Ma questa crisi ci ha fatto bene?
«È proprio così. Ora l’Europa è istituzionalmente più forte e governata meglio. I cambiamenti potevano scattare solo attraverso la risposta a una crisi. Adesso però è poca l’urgenza nel continuare il processo di crescita perché l’Europa si sta crogiolando nei bassi tassi di interesse della banca centrale».
L’Italia sta facendo fatica. Quali sono i problemi maggiori che ci impediscono di sanare l’economia?
«Nepotismo ad alto livello, stagnazione delle riforme politiche, malessere generale e poca fiducia nel sistema da parte della gente. Oggi il Paese è più competitivo, ma meno di Grecia e Spagna a causa della vostra legge sul lavoro troppo rigida. Le tasse sull’impiego poi sono troppo alte, l’amministrazione pubblica non è efficace e il sistema giudiziario estremamente inefficiente. La crescita rimarrà bassa e la disoccupazione alta ancora per anni. Il che esacerberà la disaffezione per la politica».
Matteo Renzi rappresenta la novità nel nostro panorama politico. Sarà in grado di rilanciare l’economia?
«Renzi può essere il catalizzatore della riforma del sistema politico di cui avete molto bisogno. E la sua popolarità va oltre il suo partito, potrebbe rubare voti a Grillo e ai centristi moderati. Però il Pd è diviso e questo potrebbe limitare la sua abilità di fare le riforme. Sull’economia è stato abbastanza vago, sa che il governo ha poco spazio di manovra e per adesso il suo principale obiettivo rimangono le riforme istituzionali più che quelle economiche».
A Londra i conservatori si scagliano ogni giorno contro Bruxelles. La Gran Bretagna ha davvero intenzione di lasciare la Ue?
«In realtà no. Ma la promessa fatta da David Cameron di un referendum rende lo scenario possibile».
Veniamo al suo Paese. Gli Usa si stanno riprendendo a passo di marcia. Continueranno con questa velocità?
«Direi di sì. Ma non tutti ne godranno. Secondo uno studio tra il 2009 e il 2013 l’1% che guadagna molto ha visto un aumento di salario del 31,4%. Mentre il rimanente 99% ha registrato un aumento del solo 0,4».
Spostiamoci a Est. La Cina ha frenato. Tornerà a crescere?
«È improbabile. Ma non mi preoccuperei del 7% di crescita di quest’anno o del 6% del prossimo. Il governo sta gestendo molto bene una transizione enorme: quella da una crescita a stimolo statale a una crescita più sostenibile guidata dai consumi».
La rivolta in Ucraina avrà conseguenze politiche sul rapporto Usa-Russia-Europa?
«È un altro fattore che complica ancora di più i rapporti della Russia con l’America e con l’Europa. Ma a Putin questo interessa poco. Per lui è un problema prioritario perché i russi vedono l’Ucraina come una loro proprietà che deve rimanere sotto la loro influenza. È probabile che ci sarà un’escalation delle violenze».
Andiamo in Siria. Vede una fine vicina per il regime di Assad?
«No davvero. Il regime è più radicato di prima. L’accordo sulle armi chimiche ha legittimato Assad come una figura con cui l’Occidente può trattare. Non c’è appetito per un intervento militare quindi Assad rimarrà al suo posto».
I mercati emergenti non stanno crescendo come ci si aspettava. Ma chi saranno i migliori nel 2014?
«Prima di tutto il Messico, grazie soprattutto alla riforma dell’energia. Poi la Colombia, dove il presidente Juan Manuel Santos dovrebbe vincere un secondo mandato e continuare il processo di pace con le Farc. Infine Indonesia e Kenya».
E tra i non emergenti chi sono i vincitori?
«Gli Usa, la Cina, il Giappone e la Germania».
Infine le economie più deludenti?
«La Turchia, dove le distrazioni politiche e la bellicosità di Erdogan peseranno sul Pil. La Russia, dove l’economia stagna, e la Thailandia, travagliata dalle rivolte. Più Siria, Ucraina e Argentina».
Deborah Ameri