Lorenzo Tozzi, Il Tempo 8/2/2014, 8 febbraio 2014
ENTI LIRICI A PICCO E AI SOVRINTENDENTI STIPENDI D’ORO
Non bastava la legge sulla trasparenza: c’è voluto un atto di forza del ministro Bray perché venissero resi pubblici gli emolumenti faraonici di sovrintendenti e direttori artistici dei Teatri lirici italiani. Ad analizzarli ci si trova di fronte ad una giungla senza fine con sperequazioni a dir poco inspiegabili. Il più pagato resta il Sovrintendente uscente della Scala Stephane Lissner (817 mila euro annui), a fronte dei quali sembrano quasi poco i 200 mila di Carapezza al Massimo di Palermo, di Girondini all’Arena di Verona e quelli di Bruno Cagli all’Accademia di S. Cecilia, che però somma anche quelli di direttore artistico (100 mila) senza contare la carica onoraria di Presidente. Prebende spesso cumulabili poi con altri incarichi, con pensioni varie e disponibilità di auto blu con autista. Tra i direttori artistici poi i più remunerati restano nell’ordine Ortombina a Venezia (165 mila), Gavazzeni a Verona (98 mila) e Vlad a Roma (95mila).
Sperequazioni causate dall’assenza di regole precise in merito agli stipendi d’oro di chi gestisce (spesso male) i Teatri, poi costretti a tagli traumatici su salari e occupazione. Spesso si accusano i Sovrintendenti di una cattiva gestione o i direttori artistici di scelte poco oculate. Ma queste cariche, determinate dai consigli di amministrazione, sono di nomina politica. Insomma (salvo il caso Lissner) non è stato mai bandito nessun concorso per queste poltrone. Ma il risultato del loro operato viene poi inevitabilmente a ricadere sulle maestranze dei teatri stessi, su quanti la musica l’hanno scelta per vocazione e hanno vinto concorsi pubblici.
Molti direttori artistici poi non posseggono neppure i titoli di studio musicali fondamentali (come l’elementare licenza di Teoria e solfeggio!). Sicchè mentre per suonare il clarinetto in orchestra si deve sostenere un’audizione, nessun requisito musicale è invece richiesto dalla legge alla governance dei teatri.
Se si vuole raddrizzare la struttura dei Teatri bisogna partire dall’alto, creando regole certe che offrano a tutti la possibilità di accedere a queste cariche, di cui vanno adeguatamente definite le prebende.
Oggi i Conservatori hanno moltiplicato i corsi di Management musicale, quindi si spera che si reperiscano titoli più adeguati della semplice frequentazioni dei corridoi ministeriali o delle conoscenze politiche. Sarebbero auspicabili albi professionali che prevedessero la obbligatorietà di titoli di studio e di una comprovata esperienza organizzativa.
Insomma la politica deve fare un passo indietro ed allentare il morso sui Teatri, conservando solo la funzione di controllo non solo a cose fatte, ma anche attraverso nomine illuminate e comunque deve assumersi le sue responsabilità senza farle ricadere sulle spalle di chi cerca di servire con passione la musica. Se insomma i sovrintendenti sbagliano nei bilanci, la responsabilità ricade anche su coloro che li hanno nominati.
Le Fondazioni liriche pagano questa loro sostanza anfibia tra pubblico e privato (Fondazioni di diritto privato con fondi pubblici), avendo preso il peggio dall’uno e dall’ altro. Comprensibile quindi che il Mibac si arroghi il diritto-dovere di un controllo, ma dovrebbe farlo con ben diverse nomine.
Intanto i sindacati dei lavoratori del Costanzi saranno domani a Napoli per solidarizzare con quelli del S. Carlo (Roma e Napoli divise dal calcio e unite dalla lirica!) e per consegnare a De Magistris una targa simbolica di presidente onorario dell’Opera di Roma per protesta contro il disinteresse dimostrato da Marino. La telenovela continua e tra poco entra in scena un pezzo da novanta come Muti.
Mercoledì è apparso su queste colonne un comunicato di precisazione della direzione della Scala che non nega i 473 milioni di deficit del bilancio 2012, ma sostiene che il dato "deve essere letto nel contesto della situazione patrimoniale complessiva della Fondazione" per la quale esistono problemi di liquidità. Del resto il pareggio di bilancio scaligero del 2012 è stato ottenuto con i contributi in extremis del sindaco Pisapia (2,5 milioni) e del ministro Bray (6 milioni) di cui non è ben nota la causale. Nella sua replica la Scala chiede di considerare e citare le voci attive assieme a quelle passive per arrivare ai conti "veri". E sia, ma allora la stessa operazione andrebbe applicata anche all’Opera di Roma, Teatro che negli ultimi 13 anni ha portato 11 bilanci in pareggio ed uno stato patrimoniale più che solido.
Che la Scala sia un grande Teatro e che riesca ad accedere con grande facilità anche a fondi privati è indiscusso, ma il dubbio è che nei confronti di certi Teatri, come Roma, i problemi di liquidità vengano creati artatamente (con i tagli o i ritardi di sovvenzioni pubbliche) per penalizzarli a favore di altri. Del resto che Scala e S. Cecilia dovessero essere le teste di serie dell’eccellenza musicale virtuosa in Italia lo si sapeva già da qualche anno.
Lorenzo Tozzi