Giuliano Cazzola, ItaliaOggi 7/2/2014, 7 febbraio 2014
PREGI E DIFETTI DI MASTRAPASQUA
Ebbene sì, lo confesso. Credo di essere stato l’unico ad aver preso le difese di Antonio Mastrapasqua. Pur conoscendoci da una dozzina di anni non eravamo particolarmente amici, anche nei momenti in cui lui era “folgorante in soglio”. Anzi, in passato, tra di noi ci furono parecchie occasioni di scontro, quando io ero presidente del Collegio dei sindaci dell’Inps e lui un potente consigliere di amministrazione che, in pratica, aveva egemonizzato l’organo, spesso in contrasto con il presidente Gian Paolo Sassi. Poi i rapporti si erano normalizzati quando io ero stato eletto alla Camera e lui nominato al vertice dell’Istituto previdenziale.
Il manager - Chi fosse Mastrapasqua era noto: manager di indubbia capacità, ben introdotto nel mondo dell’economia pubblica, soprattutto romana, capace di navigare al vento della politica. Ricordo che entrò nel cda dell’Inps, all’inizio degli anni 2.000 come punto di riferimento del gruppo di consiglieri di Forza Italia, ma che, con la vittoria di Romano Prodi nel 2006, non esitò ad avvicinarsi alla Margherita. Si sa, la politica non è un pranzo di nozze. Poi, nel 2008, passò dal cda alla presidenza, con nomina da parte del governo Berlusconi. Eppure Mastrapasqua fu il solo a ottenere, nelle Commissioni lavoro di Camera e Senato, il parere di competenza unanime quindi anche da parte del Pd che, allora, era all’opposizione. Ma non è finita, perché nel 2.011, l’esecutivo dei tecnici, pensò bene di affidargli la gestione iniziale e fondativa del Super Inps con una norma del decreto Salva Italia.
Gli incarichi - Che avesse molti incarichi era cosa arcinota. A volte la questione emergeva come un fiume carsico poi tornava ad immergersi nel silenzio. Grande propagandista di se stesso era riuscito a far credere, ai media ossequienti, che fossero merito suo gli avanzi importanti dell’Inps di quegli anni, quando è sufficiente conoscere un po’ le cose per capire che ogni euro che entra o che esce dall’Istituto lo fa sulla base di una norma di legge avendo sempre sullo sfondo il quadro macroeconomico del Paese. È giusto però riconoscergli di aver reso più efficiente l’Istituto, tagliato alcuni rami secchi, innovato l’assetto informatico, disboscato alcune clientele storiche e soprattutto dimezzato le direzioni centrali (riducendole da 43 a 27).
Il declino - Quando è iniziato il declino di questo signore tanto potente? Nel momento in cui, come novello Icaro, si è messo a volare troppo vicino al sole si è scoperto che le sue erano ali fatte di cera. A Mastrapasqua, il kombinat sinistra-sindacati non gli ha perdonato di essere finito, per ben tre anni, al vertice del Super Inps (dopo aver già svolto un mandato pieno nell’Istituto di via Ciro il Grande), sulla carta il più grande ente previdenziale d’Europa, probabilmente tra i più grandi del mondo. Ricordo di essere stato, da deputato nella XVI Legislatura, il primo a porre, con un ordine del giorno nel contesto dell’approvazione del decreto Salva Italia, la questione di una più adeguata governance del Super Inps per il peso, politico ed organizzativo, che il nuovo Istituto avrebbe assunto da molti punti di vista. Per la cronaca rammento pure che l’odg venne sottoscritto anche da alcuni colleghi del Pd, mentre quei deputati del mio partito di allora (il Pdl) che l’avevano presentato insieme a me, furono indotti (da chi?) a ritirare precipitosamente la firma. Ovviamente nessuno si azzardò a chiedere a me di ritirare l’odg che, per altro, venne accolto dal governo.
Gestione monocratica - Per quanto riguarda le gestione monocratica essa ha evidenziato spesso un limite: quello di coinvolgere, nei fatti, il collegio sindacale nelle decisioni, quasi alla stregua di un consiglio di amministrazione. È prassi, infatti, dei presidenti deliberare in riunione con il collegi dei sindaci e il magistrato della Corte dei Conti.
Le dimissioni - Comunque, con le sue dimissioni Antonio Mastrapasqua ha dimostrato di essere più serio di quanti hanno scoperto, con decenni di ritardo, l’esistenza di un vuoto legislativo improvvisamente divenuto “incolmabile”. Oggi sappiamo che non solo il diritto di fare politica, ma anche di amministrare la cosa pubblica è nelle mani dei nostri ayatollah: le procure e i circuiti mediatici ad esse collegati.