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 2014  febbraio 08 Sabato calendario

NUOVO SENATO TROPPO FEDERALISTA


Ammettiamo che la proposta di Matteo Renzi per riformare il senato si traduca pari pari in norme costituzionali. Il senato diverrebbe un organo di un paese federale ben più che di uno Stato unitario, quale finora appariva quello italiano. Si prospetterebbero conseguenze paradossali.
La presenza paritaria delle istituzioni substatali (stati, regioni, province: le denominazioni sono molte) è infatti prevista, per esempio, nel senato americano (due seggi per ciascuno stato membro) e nel Senato spagnolo (quattro seggi per ciascuna provincia, più altri per le isole, più altri ancora per le comunità autonome, soltanto in quest’ultimo caso con riferimento alla popolazione).
Renzi propugna di chiamare nel senato 21 rappresentanti delle regioni: in tal modo sia i 100mila cittadini della Valle d’Aosta sia i 300mila del Molise avrebbero un senatore, esattamente come un senatore spetterebbe ai cinque e più milioni di campani, di laziali e di siciliani e, sempre uno, ai quasi 10 milioni di lombardi.
Il milione di residenti nel Trentino-Alto Adige, poi, sarebbe gratificato di ben tre senatori: i presidenti della larva cui è ridotta la regione e delle due potentissime province autonome.
Non è poi chiaro perché dovrebbero essere 108 i senatori sindaci dei capoluoghi di provincia. Gli enti intermedi (le attuali province, province autonome, province regionali) sono 109; aggiungendovi la Valle d’Aosta, che è una regione, si raggiunge un totale di 110. Dunque, 110, e non 108, sindaci di città capoluogo? Nemmeno. Infatti i capoluoghi sono più numerosi: vuoi perché lo prevede una legge dello Stato (tre capoluoghi, e tre sindaci, per la provincia di Barletta-Andria-Trani), vuoi perché è stabilito nello statuto della provincia (due capoluoghi per Pesaro e Urbino), vuoi infine perché la Sardegna ha istituito le ben note e criticate quattro nuove province con due capoluoghi ciascuno. Dunque, i sindaci-senatori sarebbero 117, e non 108. Il federalismo, in questo caso, sarebbe tale da assegnare un senatore a Roma Capitale o a Milano o a Napoli, alla pari con Tempio Pausania o Villacidro (14mila abitanti) e con Sanluri (8mila) o Lanusei (5mila).
Una soluzione come quella prospettata sarebbe fondata su un autonomismo esasperato e quasi folle. I cittadini sarebbero rappresentati senza alcun criterio riferito alla popolazione. Poiché ilsenato non sarebbe un organo consultivo, ma dotato altresì di potestà legislativa, sia pur depotenziata, la funzione prima, cioè l’approvazione delle leggi, sarebbe travolta dalla palese disrappresentanza territoriale.