Lodovico Poletto, La Stampa 8/2/2014, 8 febbraio 2014
ANGELO, IL CALZOLAIO DELLA SELLERIA FIAT IMMIGRATO DUE VOLTE
Se nasci con un destino è difficile cambiarlo. Puoi colorarlo in modo diverso ma, se è quello, non c’è scampo. «Il mio? Quello di cambiare vita e luogo ogni tanto. È sempre stato così».
Angelo Vallone è un uomo di 76 anni, ormai pacificato, che si gode la sua età. E i suoi otto nipoti. Ma se guarda indietro scopre che la sua vita è sempre stata così, legata al suo lavoro da calzolaio e sempre in viaggio, alla ricerca non della ricchezza in assoluto, ma almeno della stabilità. È lui l’uomo in giacca e camicia, con i capelli scuri, in mezzo ad un picchetto di operai davanti ad una delle porte dello stabilimento Fiat Mirafiori. Era il novembre del 1978. E Angelo, allora faceva l’operaio alle sellerie. E per hobby il calzolaio. O forse è il contrario, se ascolti la sua storia. Che inizia nel 1938 ad Auletta, 2 mila e 400 anime (oggi) nell’entroterra della provincia di Salerno. Montagne e pascoli secchi. Contadini, pastori e poco altro. Angelo è emigrato al nord quando aveva 21 anni e già due figli. E un sogno: aprire un negozio da calzolaio. Sogno povero? Mica tanto. Lui, su quello, ha costruito i destini di quattro figli, due femmine e due maschi. Lui lavorava in fabbrica per avere uno stipendio sicuro e da un calzolaio, in via Candiolo a Torino per arrotondare i guadagni. E così li ha tirati su i figli, li ha fatti studiare e diplomare. S’è comperato una casa, ha rinunciato più o meno a tutto, ha «fatto economia» - come si diceva quarant’anni fa - su ogni cosa. E alla fine di questo percorso si trova accanto una famiglia, unita e felice che se lo coccola e accudisce. Contento? «E come no. Quando sono partito da Auletta avevo come unica prospettiva quella di fare il contadino. Ma a dodici anni i miei mi hanno spedito a Napoli, ad imparare il mestiere». È finito in una bottega di Fuorigrotta, in mezzo ad un gruppo di scugnizzi mandati lì da tutta la provincia. Niente paga. Solo lavoro. Sei giorni su sette. C’è rimasto cinque anni. E ha imparato tutto. E grazie alle scarpe degli altri è andato in Germania. A lavorare in una fabbrica di calzature. E poi a Torino, con la sua Anna, sposata quando avevano appena vent’anni.
Il resto è storia di tanti immigrati. La domanda di assunzione alla Fiat, le visite mediche. La quasi certezza di sentirsi dire «Lei è assunto. Venga per i 15 giorni di prova» arrivata puntuale. «Con quattro figli mi serviva una casa grande. L’ho trovata a Moncalieri. Un amico, un compaesano, mi raccomandò». La diffidenza dei primi anni verso gli immigrati un po’ era passata, ma fuori dalla città la gente li chiamava ancora «terùn». «Il tipo che ci affittò la casa era un uomo piemontese vecchio stampo. Mi disse, “mi raccomando non voglio fastidi. E pochi bambini”. “Ne ho due” gli dissi, mentendo». E così quando lui veniva a ritirare le 40 mila lire d’affitto due finivano in camera da letto. Muti. Per non irritare il padrone di casa. La macchina? Un sogno. La prima, una Fiat 128, rossa, di seconda mano, arrivò soltanto nel 1982, l’anno del matrimonio di Maria Teresa. E nell’84 l’addio alla fabbrica: finalmente poteva fare il calzolaio a tempo pieno. E insegnare il mestiere ai figli, maschi e femmine. Lui a dirigere i lavori e loro a incollare, cucire le pelli, cambiare le cerniere, lucidare. «Tutto è utile, sempre. Tutto serve».
Già è proprio così. Tutto serve. Nel ’96, all’età di 58 anni, Angelo ha detto stop. Maria Teresa lavorava come ragioniera in una fabbrica. Gennaro come calzolaio (nel laboratorio di via Candiolo che lui gli aveva comperato dal vecchio proprietario), gli altri due figli più giovani si stavano sistemando. «Vendo tutto e torno al sud» ha annunciato una sera a cena. Detto e fatto. Lui e Anna sono tornati ad Auletta. Ma è durata poco. Il destino s’è messo di traverso: Anna è mancata, la fabbrica dove lavorava Maria Teresa ha chiuso e ha lasciato a casa operai e impiegati. E Angelo è tornato a Moncalieri.