Marco Bardazzi, La Stampa 8/2/2014, 8 febbraio 2014
IL PROFESSORE AMERICANO CHE HA STREGATO MATTEO “SÌ AL SENATO DI SINDACI”
Si sono incontrati per la prima volta giovedì a Firenze, a un convegno di Confindustria, ma sono anni che parlano la stessa lingua. Se a Matteo Renzi serve un teorico che dia spessore accademico alle idee del «sindaco d’Italia» e del Senato composto da sindaci, Benjamin Barber è la persona giusta. Prepariamoci a vedere spesso in Italia questo professore della City University di New York, capace di sfoderare dialettica ed entusiasmo che ricordano uno dei suoi sindaci preferiti, il londinese Boris Johnson. Il libro che lo ha reso celebre, If Mayors Ruled the World (Se i sindaci governassero il mondo), è in via di traduzione in italiano. E Barber non nasconde l’interesse per il sindaco di Firenze e il nostro Paese: «L’Italia è un ottimo esperimento per le mie teorie, un laboratorio perfetto».
Per quale motivo, professore?
«Perché ha la peggiore situazione al mondo quando si parla di autonomie locali».
Non sembra un’analisi lusinghiera per gli italiani.
«Lo dico per evidenziare il potenziale che c’è da sfruttare. I sindaci hanno potere diverso nei vari Paesi. In Francia e Gran Bretagna ne hanno poco, negli Usa c’è maggior peso a livello locale. L’Italia è nella condizione peggiore perché ci sono troppe autorità e ciascuna senza potere e autonomia sufficienti. Comuni, province, regioni: dovete ridefinire tutto. Soprattutto i confini».
Cosa intende per confini?
«Serve una nuova definizione delle metropoli. Prendete Detroit, come città ha perso due terzi della popolazione ed è finita in bancarotta. Ma se la uniamo alle 10 contee che la circondano, abbiamo la quarta area tecnologica negli Usa. Le città vanno ridefinite».
Ma perché dovremmo dare maggior potere ai sindaci?
«Lo Stato-Nazione è un’entità inefficace, superata dalla Storia. Non è solo un problema dell’Italia di Berlusconi, è lo stesso a Washington. Lo Stato a livello centrale è paralizzato da ideologia e scontro politico. I sindaci invece fanno i conti ogni giorno con i problemi reali della gente, non possono permettersi il lusso di essere ideologici. E sono davvero in prima linea. Quando Washington ha chiuso gli uffici del governo federale, nessuno se ne è accorto. Provate a chiudere Firenze, Milano o Torino, e vedrete subito gli effetti».
Giovedì Renzi, nel corso di una direzione del Pd in cui ha citato anche lei, ha proposto un Senato di 150 membri di cui 108 sindaci dei capoluoghi. Cosa ne pensa?
«Non sono un costituzionalista. Fatta questa premessa, lo spirito è quello giusto: un Senato che rappresenti le città e la società civile. È un’ottima ricetta per l’Italia e per la democrazia, in un momento in cui in tutto il mondo c’è grande scetticismo e cinismo sulle democrazie. La gente diffida dei governi centrali, ma ha un rapporto diverso con i sindaci, anche quando sono di un altro partito».
Quali altri sindaci italiani conosce, oltre a Renzi?
«Ho incontrato Fassino, conosco Ignazio Marino, Leoluca Orlando. Nel 2003 ero venuto a Roma a incontrare Veltroni, che è stato molto più efficace come sindaco che a livello nazionale».
Chi è il suo sindaco ideale?
«Non ce n’è uno, ne conosco tantissimi. Ho lavorato con Bloomberg e Bill De Blasio a New York, con Boris Johnson, con Park Won-soon, l’ottimo sindaco di Seul. Il mio sogno è un parlamento mondiale dei sindaci».