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 2014  febbraio 10 Lunedì calendario

INNER CHE FORZA

Forse lassù a Zeno Colò è scappata una lacrimuccia di commozione davanti all’impresa di Christof Innerhofer e forse, anche se da quelle parti è quasi una bestemmia, ha maledetto quei sei centesimi che hanno diviso il suo erede dall’oro più prestigioso. Comunque Innerhofer è con lui nella storia, non con l’oro al collo che solo Zeno nel 1952 ad Oslo riuscì a conquistare, ma con un argento che luccica tantissimo e che chiude per la velocità azzurra un buco di 38 anni, da quando Herbert Plank nel 1976 a Innsbruck conquistò il bronzo.

Impresa Leviamoci il capello davanti a questo Inner che, seppur martoriato da anni da un mal di schiena che ne limita allenamenti e strategie, è riuscito a dare il meglio di se stesso nel giorno più importante come solo i campioni veri riescono a fare. Ha perso la medaglia più nobile ma non gli si può muovere alcun appunto. I 6/100 di vantaggio, meno di due metri di distacco dopo una cavalcata di 3 chilometri e mezzo dell’austriaco Matthias Mayer, oltre che ad una neve che con il passare dei minuti è diventata più lenta, si devono leggere in un quasi impercettibile errore di linea all’entrata del penultimo salto che sono costati all’azzurro un po’ di velocità.

Le parole Christof ci credeva, aveva cominciato a crederci due anni fa quando nella preolimpica di Coppa del Mondo alla fine del tratto iniziale gli si sganciò uno sci mentre aveva quasi un secondo di vantaggio sugli avversari. Rimase in piedi, smoccolò, ma si mise quel seme nell’anima che ieri è sbocciato. Sì, questa di Rosa Khutor era la pista dove poteva fare la differenza, evidenziare una tecnica che ha pochi eguali. Eppure la sua giornata non era iniziata bene. «Mentre ero in cabinovia per salire in pista ho visto un cane stramazzare al suolo morto stecchito», rivela Christof, ma non si è lasciato impressionare. «Al cancelletto mi sono detto: ci devi provare, alla seconda curva lo sci destro sbatteva ho stretto i denti e cercato di spingere ancora di più. Ho continuato per tutta la discesa a ricordarmi quello che mi ero prefisso in allenamento. E dove in prova avevo mollato per non stancarmi troppo mi sono urlato dentro: questa è la gara».

Felicità No, l’altoatesino non si rammarica per i 6/100 che l’hanno diviso dall’oro: «Sono felicissimo, sei centesimi non sono niente, ma per gli stessi sei centesimi avrei anche potuto scendere dal podio. Una medaglia olimpica è un sogno che hai da bambino. Prima speri di approdare alla Coppa del Mondo, poi di vincere le classiche. E i sogni crescono, arrivi ai Mondiali e all’Olimpiade. Ora ce l’ho fatta, Ho vinto a Wengen, Bormio e Beaver Creek, ho vinto ai Mondiali e ora qui». Viene da chiedersi cosa questo ragazzo avrebbe potuto fare senza quella schiena che lo limita e lo deprime, che lo costringe a continue cure. «So che non posso inseguire la Coppa del Mondo, non so quanti anni riuscirò ancora a continuare, uno, due o tre. Per questo mi godo questo momento. E’ la bellezza dello sport, l’unica attività che sa dare emozioni così intense». Se ci crederà e se avrà ancora energie in corpo, Innerhofer potrà davvero diventare l’uomo di questa Olimpiade. Ha davanti ancora la supercombinata del 13 febbraio e soprattutto il superG domenica prossima. In combinata, se andrà ancora forte in discesa, lo aspetta uno slalom molto ripido che dovrebbe un poco annacquare le differenze con gli slalomisti veri ed il superG di domenica, dove, nella speranza che la neve rimanga ghiacciata, potrebbe ancor di più far valere la sua raffinata tecnica. «Vedremo. Ormai qualcosa l’ho vinto, andrò in pista con meno pressione degli altri ed è una condizione perfetta». Alé, forza Inner.