Giuseppe Videtti, La Repubblica 8/2/2014, 8 febbraio 2014
LA CANZONE PERFETTA
ROMA Che succede? Nessuno ha più voglia di cantare sotto la doccia o anche la canzonetta è in crisi? Se per caso a qualcuno la mattina, in un raro slancio di ottimismo, è rimasta la voglia di fischiettare — magari radendosi o preparando il caffè — finisce sempre sui soliti ritornelli: My way, E se domani, La vie en rose, Azzurro, Nel blu dipinto di blu, Margherita, Non è Francesca, Questo piccolo grande amore, Pazza idea. I più ardimentosi si spingono fino a La canzone di Marinella, La donna cannone e L’anno che verrà. Qualche temerario azzarda Love me tender, Yesterday, Satisfaction, Bandiera bianca, L’ombelico del mondo e Xdono. È probabile che i più giovani, scoglionati dalla routine scolastica o in aria di prolungata disoccupazione post- laurea, bestemmino qualche rima di Fabri Fibra rotolando giù dal letto. Ma allora? Nessuno è più capace, nell’ex Bel Paese, di scrivere la canzone perfetta, quella che canti il giorno dopo, il mese dopo, e anche vent’anni o mezzo secolo dopo? Siamo rimasti incollati a Modugno, Paoli, Tenco, Carlo Alberto Rossi, Pace-Panzeri-Pilat e Mogol-Battisti? E dopo l’esuberanza creativa dei cantautori — De André, Dalla, Guccini, De Gregori, Venditti, Cocciante, Daniele, Bennato — solo Jovanotti, Tiziano Ferro e i rapper? Le rivelazioni dei talent saranno anche in testa alle classifiche, ma provate la mattina a farvi venire in mente un motivetto di Emma o della Amoroso, di Marco Carta o di Valerio Scanu. È più facile che canticchiate — anche se non conoscete l’inglese — le dodici canzoni del disco di Adele, tutte belle, tutte memorabili, tutte contagiose. Ma allora è una crisi tutta italiana, come quella della Fiat. Perché ci vien più facile ricordare gli inni U2 ( One), Coldplay (Paradise) e Radiohead (Creep) che L’essenziale, con cui Mengoni ha vinto Sanremo?
«Le canzoni memorabili fanno parte di un mondo che non c’è più», dice Ron, che per Lucio Dalla ha scritto Piazza Grande e Attenti al lupo e quest’anno torna in gara a Sanremo. «Si è chiuso il mare di Mosè sopra gli egiziani. Quando nel ’71 scrissi in cinque minuti Piazza Grande vivevamo in un paesaggio in cui tutti erano invitati a esprimersi e a creare, c’era una strada aperta, un entusiasmo e un rispetto per noi autori che oggi stento a ritrovare. C’è stato un cambiamento radicale in Italia e nel mondo: la canzone, già fortemente condizionata dalle radio, si è “televisionata”. Tutti vogliono cantare, nessuno vuole scrivere. È una realtà con cui mi confronto ogni giorno nelle mie due scuole di musica a Garlasco e a Vigevano».
Stentano a prenderci alle spalle con una melodia — quella che non riesci a toglierti dalla testa — anche le artiste più blasonate come Elisa, Giorgia e Laura Pausini, la nostra voce più apprezzata all’estero che, parlando del suo album Inedito (2011), lamentava: «Avrò ascoltato un migliaio di canzoni, la maggior parte indecenti. La verità è che oggi se un autore pensa di aver un pezzo forte difficilmente lo molla all’interprete, cerca di cantarlo lui!». I talent non danno una mano alla buona musica; per puntate e puntate non si ascoltano che cover (sempre quelle — quante versioni abbiamo ascoltato di Almeno tu nell’universo?
Quante migliori dell’originale?) e le opzioni, a grandi linee, sono due: o si attinge dagli evergreen angloamericani o si rimesta nel repertorio italiano degli anni Sessanta-Settanta.
Il Festival di Sanremo è nelle sabbie mobili da decenni. Nobile il tentativo di Fabio Fazio di riaffermare la centralità della canzone, ma il suo tentativo — pur con l’autorevole contributo di un direttore artistico competente e raffinato come Mauro Pagani — è riuscito solo a metà. «Il più grande errore», dice il conduttore del Festival e di Che tempo che fa, «è mettersi a tavolino con l’idea di scrivere la canzone per Sanremo. Il rischio è sempre quello di avere un brano decente in un album orrendo». Franco Battiato è anche più radicale: «Nel momento stesso in cui il compositore si mette davanti al foglio bianco per scrivere la canzone del secolo ha già fallito. L’ispirazione non arriva con un clic ma nei momenti più impensati, bisogna solo essere pronti a riceverla». E allora? Non ci saranno grandi melodie come E se domani o Il cielo in una stanza nel nuovo millennio? «Non è indispensabile e non è preoccupante. Noi avevamo Elvis, oggi hanno One Direction», aggiunge il cantautore catanese che ha venduto un milione di copie di un album come La voce del padrone — a dimostrazione che non sempre l’impegno in musica è indigeribile. «Mi piace, invece, che il nuovo consumo della musica abbia permesso a proposte fuori dal coro di emergere. È una sorpresa che il mio recente disco live con Antony sia stato così apprezzato. Un miracolo in un’epoca come la nostra, dove si sta realizzando in pieno la profezia di Andy Warhol: “Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti”; la gente è indifferente al mondo dilaniato, abbiamo fatto l’abitudine alla sopraffazione, alla violenza e alle guerre — cosa vuole che esprima la musica in un momento come questo? Sconcerto — e allora si usa e si getta».
Smania di visibilità e global communication hanno centuplicato le offerte e creato il caos. L’anno scorso, per qualche mese il mondo è stato ostaggio di Gangnam style, il tormentone idiota del sudcoreano Psy, che quasi tutti, New York Times compreso, hanno trattato col riguardo riservato alle canzoni pop perfette (negli anni Sessanta sarebbe stata liquidata col termine dispregiativo di bubblegum music). Neanche a dire che la rete abbia messo in circolo il nostro pop creando fenomeni rilevanti. «Quel che il mondo si aspetta dalla musica italiana è una sorta di continuità melodica tra le arie d’opera e il pop», spiega Sting, che da anni trascorre lunghi periodi nel nostro paese ed è un appassionato di Puccini; questo spiega il successo internazionale di Bocelli e Il Volo (che riempiono stadi ovunque, tranne in patria) e la difficile circolazione all’estero della musica d’autore. «Io sono ottimista », conclude Ron, «chi ha talento troverà un’altra strada e tornerà a fare il latte con le mucche».