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 2014  febbraio 08 Sabato calendario

ROBERT REDFORD “LE MIA VITA PARALLELA PASSEGGIANDO BOSCHI”


Uno zaino enorme sulle spalle, il freddo che punge e l’impresa. A 77 anni Robert Redford è ancora l’uomo dei boschi. Pronto a sfidare, passo dopo passo, il più lungo sentiero del mondo, quello dei monti Appalachi, che attraversa quattordici stati americani per 2200 miglia, dalla Georgia al Maine. A marzo Redford inizia le riprese di A walk in the woods-Una passeggiata tra i boschi,
il nuovo film da protagonista tratto dal romanzo omonimo di Bill Bryson. È la storia di due escursionisti stagionati, il protagonista e l’ex compagno di scuola, bulimico e combinaguai, che decidono di affrontare la natura e si ritrovano alle prese con animali selvatici e situazioni prevedibilmente rischiose. Ovviamente Redford interpreta il personaggio in forma, il bosco è casa sua.
«Il rifugio, il pensatoio. Da mezzo secolo le lunghe passeggiate sono la mia finestra sul silenzio. Lontano dal chiasso dell’elettronica, il rumore che scandisce la quotidianità contemporanea». Robert Redford, malgrado il maglione sformato e il mocassino senza calze, all’incontro in uno storico hotel parigino è ancora molto consapevole del fascino del suo sorriso bianchissimo. Sul palco della cerimonia finale dell’ultimo Sundance Film Festival la conduttrice e attrice comica Megan Mullally lo ha celebrato con irriverenza: «La mia vagina è come la faccia di Robert Redford, ha vissuto».
L’uomo che sussurrava ai cavalli ha fondato la rassegna che è poi diventata la più formidabile fucina del cinema indipendente tra le montagne dello Utah, a Park City, trentacinque anni fa. In un appezzamento di settemila acri comprato con la prima moglie Lola Van Wagenen, attivista ambientalista. L’attore spiega: «Sognavo un momento d’incontro per gli autori del cinema indipendente. Sarebbe stato logico farlo a Los Angeles o a New York, ma poi mi è arrivata la pazza idea di ambientarlo in montagna, d’inverno, con la neve. Cinema e sci. Tutto si è ingigantito. Sono venuti i divi che vogliono fare anche i piccoli film, poi le case di moda, il mercato, i produttori, i paparazzi». Redford è figlio della costa, è nato a Santa Monica, California, ed è stato forgiato dal “surf e dal nuoto”. La scoperta di madre natura con un’immersione nello Yosemite National Park, quindi la consapevolezza della necessità di uno spazio di vita “into the wild”. Questa è arrivata quando Robert si è trasferito in Colorado per frequentare il college, chiamato per la prestanza fisica e l’attitudine al baseball.
«Ma è stato allora che ho capito che la natura avrebbe avuto uno spazio consistente nella mia esistenza». Al college Redford capì che non avrebbe costruito la sua cultura sui banchi di scuola, piuttosto viaggiando, esplorando, scoprendo nuovi luoghi. «Passo dopo passo». La montagna è stata anche rischio, «una volta me la sono vista davvero brutta», e quando girò Corvo rosso non avrai il mio scalpo, quarant’anni fa, in Montana, in inverno, si gettò anima e corpo nella natura selvaggia: «Il regista Sidney Pollack esigeva realismo, mi dovetti gettare in un ruscello ghiacciato perché il mio personaggio doveva pescare salmoni, non avevo controfigure ».
Né controfigure né mezze misure. Robert Redford è noto per l’impegno politico liberal e per non avere peli sulla lingua. In nome della natura ha combattuto molte battaglie. A partire da quella contro l’inquinamento della sua Los Angeles. Nel 1977 ha firmato un libro denuncia sull’espansione degli Stati Uniti verso Ovest, The Outlaw Trail, e la battaglia contro la costruzione di una centrale elettrica nell’amato Utah che gli è valsa ripetute minacce. «Quarant’anni di lotte, ci vuole la pazienza di Sisifo. Il nostro pianeta è malato, ma l’unica cosa che conta è il denaro e il potere delle multinazionali». L’interprete di Tutti gli uomini del presidente, il paladino della sinistra americana, confessa: «La politica oggi mi mette tristezza. Ero molto appassionato, ma la politica di questi tempi è una perdita di tempo: tutto è corrotto, malato, distrutto. Sono i tempi dell’informazione totale, che è bombardamento di notiziari e soprattutto di talk show dove la gente si parla addosso, ad alta voce, velocemente. È solo rumore. E allora a volte bisogna spegnere tutto e andarsene».
La fuga per non invecchiare nel frastuono e frastornati. «Il segreto della mia sopravvivenza, della passione e della concentrazione che sento ancora oggi, è la capacità di aprirmi una via di fuga dalle distrazioni elettroniche. Nelle mie passeggiate, nei miei viaggi, mi accorgo che oggi non cammina più nessuno. Bisogna trovare un amico e partire, andare a vedere quello che resta di quella natura così bella che abbiamo abbondantemente distrutto». Un rifugio dalla vita virtuale, via dai tramonti finti, dai luoghi digitali. «Sembra di vivere nel romanzo Il mondo nuovo di Aldous Huxley». Redford ci tiene, però, a non passare per un eremita: «Non voglio essere catalogato come un solitario. Vivo nel mondo, vivo nell’oggi. Ho perfino accettato, per curiosità, di far parte di un kolossal a fumetti come Capitan America-Il soldato d’inverno.
Il ruolo non è grosso, ma importante, e ho potuto sperimentare le ultime frontiere della tecnologia e del budget, tutto quello che c’è di nuovo e potente a Hollywood. Mi sono divertito, soprattutto ho reso felici i miei nipoti».
Ma il cuore e l’impegno e la fatica mister Redford li regala a un ruolo estremo in un film semplice e forte come All is lost-Tutto è perduto, appena arrivato nelle nostre sale. Nel film di J. C. Chandor interpreta “il nostro uomo”, uno sconosciuto in barca da solo nell’oceano. Un naufragio, la lunga lotta per la sopravvivenza nella solitudine assoluta. Trentuno pagine, soltanto, di sceneggiatura. «La più eccitante delle sfide per un attore, un’esperienza cinematografica pura: l’immedesimazione totale tra me e il personaggio. L’assenza di parole ha fatto nascere un canale diretto con il pubblico». Del tutto diversa è la cifra dell’avventura montana che sta per iniziare. «Era dai tempi di A piedi nudi nel parco che non mi cimentavo in una commedia, avevo davvero voglia di tornare a far ridere», dice Redford. Una passeggiata nei boschi è un percorso a due, scandito da disastri e risate. L’amico obeso e imbranato è Nick Nolte, ma quel ruolo era stato pensato per Paul Newman. «Eravamo grandi amici», si commuove Redford. «Quando girammo Butch Cassidy, nel ‘69, lui era una star, aveva dieci anni più di me e mi volle sul set, contro tutto e tutti. Si guadagnò la mia gratitudine e nacque un rapporto profondo. Da anni cercavamo l’occasione per un’ultima volta insieme, una sorta di seguito ideale a Butch Cassidy, ma non c’era mai la storia giusta. Ci è piaciuta l’idea di una camminata nei boschi insieme, ma la sceneggiatura non era mai pronta. Quando alla fine era perfetta, il tempo era passato. Paul non stava più bene, poi se ne è andato. È stato triste. Ma questo viaggio ora lo faccio anche un po’ con lui».