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 2013  febbraio 09 Sabato calendario

FANO «Era seduto proprio lì, Romeo Pirani, comandante del peschereccio “Ferri Ferruccio”. Sul divano dove adesso è seduto lei

FANO «Era seduto proprio lì, Romeo Pirani, comandante del peschereccio “Ferri Ferruccio”. Sul divano dove adesso è seduto lei. Io gli mostrai la prima e unica foto della statua trovata in mare ventuno anni prima, ancora coperta dalle incrostazioni, e lui disse: “ È lia, è lia”, è lei, è lei. Al mio fianco c’era il procuratore della Repubblica Gaetano Savoldelli Pedrocchi. Avvenne qui, nel mio salotto, alla fine del 1985, il primo incontro fra la magistratura e i pescatori che il 14 agosto 1964 avevano trovato una statua bellissima davanti al mare di Fano. Per la prima volta non si parlava più di una leggenda. C’era la prova che una statua era stata trovata davvero. E si poteva partire da lì per ricostruire il suo viaggio in mezzo mondo ». Alberto Berardi, classe 1943, professore di italiano e storia alle superiori e di storia del teatro all’università di Urbino, è l’uomo che ha cercato la statua — sarà chiamata poi l’Atleta Vittorioso o l’Atleta di Fano, opera del grande scultore e bronzista greco Lisippo — come fosse un figlio perduto. «Un figlio da riportare a casa, perché è figlio nostro, di Fano e dell’Italia». L’Atleta oggi è ancora lontano, nel Paul Getty Museum di Malibù, in California. La magistratura italiana ne ha ordinato la confisca e il ritorno in Italia, il museo ha fatto ricorso in Cassazione e la Corte deciderà il 28 febbraio. «Mi prendevano in giro — racconta il professore — quando cercavo di capire se la storia della statua fosse verità o leggenda. Nel 1985 ero stato nominato assessore alla cultura, qui a Fano. Del ritrovamento avevo sentito parlare ma quando chiedevo informazioni la risposta era sempre la stessa: lascia perdere, è passato tanto tempo e poi in mare chi trova porta a casa. E nel nostro mare tanti “portavano a casa”. I pescatori, con le reti a strascico, tiravano su decine, centinaia di anfore, e i fanesi, offrendo loro un bottiglione di rum o di cognac, si prendevano l’anfora e la mettevano nel loro giardino. Io stesso ho trovato un giorno una spada picena e tutti si sono meravigliati perché, invece di metterla sotto vetro in salotto, l’ho consegnata alla Sovrintendenza». Ci vogliono anni per ricostruire i primi passi dell’Atleta. «Sul peschereccio “Ferri Ferruccio”, all’alba di quel 14 agosto di cinquant’anni fa, ci sono il comandante Romeo Pirani, il motorista Derno Ferri, il mozzo Athos Rosato e i marinai Durante Romagnoli, Valentino Caprara e Nello Ragaini. Portano a riva la statua coperta da incrostazioni di conchiglie e con un carretto la portano a casa della proprietaria della barca, Valentina Magi. La nascondono in un sottoscala. Qualcuno sa che in mare è stata trovata una «cosa» importante, la voce comincia a girare fra i collezionisti. E allora, su una Fiat 600 Multipla, l’Atleta viene portato a pochi chilometri, a Carrara di Fano, e lì sepolto in un campo di cavoli, di proprietà dell’amico Dario Felici». La statua è senza piedi, forse rimasti in fondo al mare quando le reti l’hanno strappata da rocce e sabbia. L’Atleta è anche senza occhi e c’è chi racconta che furono tolti dagli stessi pescatori, perché «guardavano in modo cattivo e facevano paura». Arrivano i primi compratori, i cugini Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti di Gubbio, imprenditori del cemento. Prendono dal loro ricco portafogli tre milioni e mezzo di lire e se ne vanno con la statua. «Una bella cifra, per quei tempi. Con 3,5 milioni — dice il professor Berardi — si comprava una casa. Ma a dividere i soldi erano in sei, e le percentuali erano diverse: 25 per cento al capitano, 10 per cento ai marinai… come nella suddivisione del pescato». Dopo il campo di cavoli, l’Atleta viene nascosto nella canonica di un sacerdote di Gubbio, don Giovanni Nargni. Lo mettono in una vasca da bagno, coperto da un drappo rosso. Dopo qualche mese se ne perdono le tracce. «Lo abbiamo comprato — raccontarono i cugini Barbetti, ora tutti defunti, ai carabinieri — da pescatori che non conosciamo, l’abbiamo venduto a un milanese di cui non sappiamo il nome». Così, dopo le brevi trasferte, inizia il lungo viaggio dell’Atleta. Due le piste da seguire. Una parte da Gubbio, fa sosta in un porto dell’Adriatico e poi riprende il viaggio verso il Brasile. L’Atleta è dentro una cassa, assieme a libri e viveri (secondo un’altra versione libri e medicine) destinata a un certo padre Leone, originario di Gubbio e missionario nel convento dei Cappuccini ad Alagoimbas, nello StatodiSalvador.L’altrapistapartesempre da Gubbio ma passa da Monaco di Baviera, fa sosta a Londra e arriva prima al museo Denver in Colorado, poi al Getty di Malibù. Già nel 1965, iniziano i guai giudiziari per alcuni pescatori e per i primi acquirenti, i Barbetti. I carabinieri entrano nella canonica di don Giovanni Nargni, ma trovano solo il drappo rosso che copriva il bronzo. Partono le denunce per ricettazione e sottrazione di beni dello Stato. Ma non ci sono prove. Non si sa dove la statua sia stata trovata, non ci sono prove nemmeno della sua esistenza. Gli accusati vengono assolti, condannati in appello e nuovamente assolti dalla Corte di appello di Roma nel novembre 1970. «Solo dopo anni — racconta il professor Berardi — sono riuscito a trovare alcune prove importanti. Invitato a una cena — ero già assessore — un convitato mi dice che a un geometra di Fano, Elio Celesti, era stato regalato un pezzo di concrezione che si era staccata nel momento in cui l’opera di Lisippo era stata dissotterrata, a colpi di zappa, dal campo di cavoli. Convinsi il geometra a consegnare il pezzo alla Procura. Le analisi confermarono che la concrezione era stata a contatto con una lega di stagno e rame, cioè bronzo. Venni poi a sapere che un commerciante di Imola, Renato Merli, aveva scattato una foto alla scultura già nel 1964. I carabinieri del nucleo Tutela patrimonio artistico ne erano venuti in possesso nel novembre 1977. Ma solo nel 1985, nel mio salotto, il comandante della barca, Romeo Pirani, diede la conferma che si aspettava. “ È lia, è lia”. Così il procuratore Savoldelli Pedrocchi seppe che la statua (la quale nel frattempo era già arrivata in America) era quella pescata nel 1964 davanti a Fano». Non vuole troppi meriti Alberto Berardi. «Certo, mi sono dato da fare. Ma se l’Atleta potrà tornare in Italia — noi ovviamente lo vogliamo a Fano — dovremo dire grazie a due donne coraggiose e intelligenti, il pubblico ministero Silvia Cecchi e il giudice Lorena Mussoni». Non è stato facile, il lavoro di questi magistrati. Il bronzo riappare ufficialmente a Monaco nel 1972, presso il negozio di un antiquario, Heinz Herzer, che lo offre in vendita ai musei americani. I carabinieri, nel 1973, vanno nel negozio ma il legale di fiducia e la segretaria rifiutano di mostrare l’Atleta. Non ne consegnano nemmeno una fotografia. I militari fanno però rapporto al pretore di Gubbio che avvia un procedimento per esportazione clandestina. Intanto, al bronzo sono interessati sia il Metropolitan Museum di New York che il Paul Getty Museum diMalibù.Unasocietà—l’Artemis — compra l’Atleta dall’antiquario di Monaco e lo mette sul mercato. Nel 1973 la statua viene portata a Londra per un anno, poi rimandata a Monaco al Museo per le Antichità classiche, per un restauro che dura due anni. Paul Getty senior, da parte sua, ha chiesto chiarimenti sull’origine del «bronzo greco». Vuole il certificato di proprietà, mai presentato, e la sicurezza che il bene non sia richiesto dallo Stato italiano. Documenti mai pervenuti, ma Paul Getty senior muore nel giugno 1976: l’Atleta viene acquistato dal Getty Museum per 3,8 milioni di dollari e trasportato via nave a Boston in data 8 agosto 1977. Le due piste — da Gubbio al Brasile o da Gubbio alla Germania, all’Inghilterra per poi arrivare negli Stati Uniti — a un certo punto sembrano incontrarsi. Secondo i legali di Artemis, infatti, nel dicembre 2009 il «bronzo greco» è stato acquistato da un loro cliente «in Brasile, da un gruppo di venditori italiani». «Ciò che è certo — scrive il giudice Lorena Mussoni nella sua ordinanza di confisca il 10 febbraio 2010 — è che il bene proviene dall’Italia, è stato esportato clandestinamente e in assenza di qualsiasi autorizzazione. Il museo di Malibù non ha nemmeno rispettato le precise direttive dello stesso J. P. Getty senior». Se la Corte di Cassazione darà ragione ai giudici di Pesaro la statua dell’Atleta, dopo tanto viaggio, tornerà sulla riva dell’Adriatico. E Athos Rosato, l’unico fra i pescatori ancora in vita, potrà confermare: « È lia, è lia ».