Andrea Nicastro, Corriere della Sera 9/2/2014, 9 febbraio 2014
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MADRID —
Meglio passare per una mogliettina ingenua che per una truffatrice. Addossare tutta la colpa a quello sportivone di marito, che ormai non può uscirne pulito, invece che finire condannata assieme a lui. «Non so». «Non ricordo». «Mi fidavo di lui». «Era lui a gestire tutto, io seguivo le bambine». Non ci vuole un genio del diritto per decriptare la strategia difensiva messa in scena ieri davanti al tribunale di Palma di Maiorca dall’Infanta Cristina, 48 anni, settima nella linea di successione al trono di Spagna. Un avvocato di parte civile calcola a spanne che Cristina di Borbone e Grecia abbia risposto in modo esaustivo a meno di venti domande su 400. Meglio una figuraccia che una condanna anche perché ieri c’era tutta la Spagna incollata alle tv, alle radio e ai siti Internet ad aspettare di veder inciampare la figlia di Juan Carlos.
Da settimane Cristina si preparava a sostenere con il sorriso sulle labbra la figura della sciocca. In fondo il titolo Infanta che gli spagnoli attribuiscono alle principesse deriva proprio da infanzia e i bambini non sono responsabili delle loro ingenuità. È arrivata e se n’è andata dal tribunale come se fosse stata l’inaugurazione di una mostra: sorridendo e ringraziando in direzione dei flash. Lei che è la prima Borbone laureata, ha dovuto fare un sacrificio d’orgoglio. La foto di papà se ne stava lì appesa al muro, proprio dietro al giudice. Era l’evidenza del cortocircuito familiar-istituzionale in cui è caduta la Spagna. Toccava a Cristina cercare di rimediare.
Non sta bene che il garante della patria sia allo stesso tempo il simbolo dello Stato e il padre di una sospettata di fare la furbetta con società e tasse. Ad aggravare l’imbarazzo istituzionale ci si è messo anche il presidente del governo in persona, Mariano Rajoy. In un’intervista tv il premier ha sgambettato niente meno che Montesquieu. «Tutto le andrà bene, sono convinto della sua innocenza». Il capo del potere esecutivo è certo che il potere giudiziario assolverà doña Cristina.
L’Infanta doveva ieri rendere il più possibile plausibile l’unica versione dei fatti che diminuisce la sua colpa: una donna inconsapevole dei maneggi del marito. Chi mai potrebbe condannarla per un errore dettato dall’amore? Ha passato 8 ore in tribunale e almeno 6 alla sbarra, prima reale di Spagna costretta davanti a un giudice. I pochi giorni i magistrati decideranno se accusarla formalmente o no. «L’Infanta ha perfettamente spiegato la sua estraneità alle gestione delle società del marito» ha detto Miquel Roca, capo del team legale di difesa. Chissà se per la duchessa di Palma, la foto del papà re sulla parete, è stata un conforto oppure le ha solo ricordato di avere il destino della monarchia sulle spalle. Se i sospetti venissero provati, ciò che emergerebbe dal processo sulle società Nóos e Aizoon di proprietà di Cristina e Iñaki Urdangarin è una famiglia reale beneficiata da una gara di generosità tra imprenditori e politici ad offrire lavori, case, yacht, appalti. La Corona di Spagna è ufficialmente la meno costosa tra le europee, eppure il re che si diceva insonne per i troppi disoccupati era lo stesso che andava a caccia di elefanti a 50 mila euro l’uno. Un terzo del suo stipendio ufficiale. Da dove vengono quei soldi?
Il magistrato inquirente si chiama José Castro e alla soglia della pensione non ha più niente da chiedere alla carriera e nulla da perdere dalla disapprovazione dei superiori che, ecco il cortocircuito, vengono promossi dal governo. Ieri Castro ha condotto un interrogatorio al limite del pedante. Ha chiesto all’Infanta se erano sue le firme sugli assegni, se proprio lei aveva pagato Disneyland per i bambini, le lezioni di ballo con l’amato Iñaki o le colf senza contributi sociali. Nell’obbiettivo del magistrato anche lo stesso re e il prestito di oltre un milione alla figlia che poi è sembrato diventare una donazione senza che però nessuno abbia pagato le tasse dovute. Lì Cristina ricordava tutto: papà non c’entra, è un prestito e, prima o poi, pagherò. Sullo sfondo il ruolo del sovrano nel procurare al genero finti lavori pagati con soldi veri.
A fine giornata Cristina se n’è andata con due uomini di scorta a libro paga dell’Erario. Il giudice Castro da solo in motorino. Sulla strada l’ha accolto una ola di applausi.
Andrea Nicastro