Elena Martelli, il Venerdì 7/2/2014, 7 febbraio 2014
NELL’HOTEL A 6 STELLE CUOCHI E CAMERIERE SONO TUTTI DOWN. E LO RACCONTANO IN TV
Roma. Ad un certo punto Martina, una ragazza down di 31 anni, deve chiamare la reception: sta facendo uno stage come cameriera ai piani di un hotel e deve contattare lo staff. «Sono timidissima, ho paura d’impappinarmi» dice, mentre prova e riprova il suo discorso con la cornetta in mano davanti alla sua tutor, un’impiegata dell’hotel che, in queste settimane le sta insegnando l’abc del mestiere. Per lei, come per tutti i ragazzi down, comunicare non è una cosa così semplice. «Ho imparato a pulire le stanze, ognuna delle quali va fatta in mezz’ora. E a guardare come le lasciano i clienti mi sono fatta l’idea che siano le donne, le più ordinate» racconta Martina.
Per Emanuele, un altro ragazzo down di 24 anni che sta facendo lo stage come aiuto nello stesso hotel, le difficoltà sono altre: «Devo stare attento a non scottarmi, non scivolare, non tagliarmi con i coltelli. I pericoli in cucina sono tantissimi, anche se non è la prima volta che lavoro in un ristorante». Per Emanuele, Martina e Nicolas, Livia, Benedetta ed Edoardo, il più piccolo con i suoi 19 anni di questo gruppo di stagisti, si tratta della prima volta davanti alle telecamere. Quelle di Rai3 che li sta filmando al lavoro per Hotel 6 stelle, in onda dal 17 febbraio in seconda serata. Gli stagisti sono nelle mani di Claudio Canepari, il re della docufiction italiana. Uno che trasforma la criminalità in narrativa educational come ha fatto con Residence Bastoggi e Scacco al Re (ora sta preparando una storia noir dell’Italia anni ’70 per Rai1) ma anche il suo contrario. Ovvero tramuta il materiale social in dramedy (crasi di drama e comedy) massimalista, o se preferite, in un classico romanzo di formazione. Perché l’ambizione di Canepari con Hotel 6 stelle è, dal punto di vista estetico, proprio questa: trasformare la missione sociale con cui nasce la docufiction (sei puntate da un’ora ciascuna) in un racconto corale, attraverso cui fare emergere le storie dei sei stagisti. «Il format svedese ha un impianto molto più documentaristico » spiega Canepari. «Noi abbiamo cercato di incentrare il racconto sul loro inserimento nel mondo del lavoro, e sulle loro vicende personali. Sono sei persone molto diverse tra di loro: ci sono la pariolina e il ragazzo di periferia, quello spavaldo e quello più prepotente. In generale, mi sono accorto che hanno tutti famiglie molto speciali. Ma l’unicità di ogni storia personale è il dato che m’interessa di più. Per questo sono portato a sondare le dinamiche di relazione, fatte di scontri, screzi, incomprensioni, sia tra di loro, sia tra gli stagisti e i tutor per i quali non è stato affatto semplice entrare in contatto con questi ragazzi».
«All’inizio con Benedetta non riuscivo a farmi capire» ricorda l’impiegata di sala che la segue. «Era la prima volta che avevo a che fare con una persona down e pensavo fosse facile. Invece mi sono ritrovata a dover riflettere su ogni cosa che dicevo». Aggiunge la tutor di Martina: «Ho scoperto che non potevo darle dieci informazioni tutte insieme, era troppo per lei. Il guadagno umano che ho avuto in cambio? È stato enorme».
«Gli stagisti down faticano a concentrarsi su alcuni aspetti pratici, come fare di conto» interviene Canepari. «Ma dal punto di vista emotivo sono molto sensibili. Sono persone dirette, prive di filtri. Me ne sono accorto quando, prima di girare, per farli conoscere, siamo andati in discoteca. Tra due di loro è nata una storiella d’amore. Avevano una carnalità fortissima. Ed è proprio da questa comunicazione non verbale, che viene fuori il racconto più autentico».
Insomma trattasi di tv seria ma non seriosa prova ne è il fatto che il progetto non è nato come programma tv tout court ma a stage definito, quando l’Aipd (Associazione italiana persone down) che ha contribuito alla realizzazione di Hotel 6 stelle, ha capito che la docufiction di Canepari poteva essere un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema.
«Ottenere un’indipendenza economica, lo stage garantisce 400 euro al mese, significa molto per queste persone, la cui aspettativa di vita, grazie allo sviluppo della medicina è oggi di 62 anni, e non più 12, come accadeva negli anni ’40» spiega Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’Aipd.
I dati forniti dall’associazione stimano che oggi in Italia siano circa 38 mila le persone con la sindrome down, il 61 per cento delle quali già adulte. «Proprio questo sfondo sociale fa capire meglio quanto sia urgente il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro. È uno dei temi centrali del futuro» aggiunge la Contardi.
Ne hanno una solida consapevolezza anche i ragazzi dello stage: «Mi alzo alle sei, per essere qui alle nove. Poi torno a casa con la mamma di Martina che è di Spinaceto. Ci diamo una mano. Il lavoro per me è vita», racconta Emanuele. «Mi piacerebbe fare la cameriera» dice Martina. «E mi piace stare in tv perché mi sembra di mandare un messaggio a tutte le persone come noi. Smuoviamo le acque. Anche noi dobbiamo lavorare».
Ora manca il lieto fine, o per meglio dire, un contratto a tempo indeterminato. Accadrà, perché l’hotel, che già si è impegnato con lo stage, ha garantito di assumere qualche stagista, appena si libererà un posto.