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 2014  febbraio 07 Venerdì calendario

MAFIE ALL’ASSALTO DEL PROFONDO NORD


I lavori pubblici a Milano, L’Aquila e Modena sono presi d’assalto da imprese mafiose o con capitali sporchi che hanno sede nel nord. Il primo a parlarne, il 16 dicembre davanti alla Commissione parlamentare antimafia in trasferta a Milano, è stato il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Mentre discetta delle fattispecie contrattuali risolte a Milano a causa dell’emissione da parte del prefetto dei provvedimenti interdittivi antimafia, rivela che le imprese interdette «hanno sede nella quasi totalità dei casi al Nord e precisamente in Lombardia, Emilia, Piemonte e Veneto. I relativi titolari sono risultati legati, per vincoli parentali o per relazioni di affari, con persone o imprese del meridione, a ulteriore riprova della capacità di espansione delle mafie tradizionali nelle aree geografiche più ricche e appetibili. L’attenzione rivolta alle opere connesse alla realizzazione di Expo nasce, dunque, anche dalla constatazione della tendenza delle consorterie mafiose a proiettare in maniera sempre più marcata la loro presenza in regioni lontane da quelle di origine e di radicamento storico».
Expo 2015
Il Rapporto 2013 della Dna, consegnato il 24 gennaio dal capo della Procura nazionale antimafia Franco Roberti alle Istituzioni, con l’apertura dell’anno giudiziario, conferma questa analisi e obbliga a rivedere la mappa cromosomica della criminalità imprenditrice dal volto pulito oltre i confini geografici tradizionali. Il sostituto procuratore nazionale antimafia Diana de Martino, a pagina 452, scrive che dal 2011 al luglio 2013 la Prefettura di Milano ha individuato 15 imprese, impegnate nelle opere per Expo 2015, oggetto dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Di esse, solo due provengono da regioni di radicamento storico delle mafie (Sicilia e Campania), sei hanno sede legale in Lombardia, mentre sette ce l’hanno in Emilia Romagna.
Nei crateri del sisma
Se dalla Lombardia si fa un salto nelle aree terremotate la musica non cambia. Il sostituto procuratore nazionale Olga Capasso, già nel Rapporto 2012 scriveva che nei lavori post-sisma erano state analizzate alcune società, il cui patrimonio per la Dna aveva sicuramente origini illecite. Due erano società bergamasche, gestite di fatto da un personaggio più volte condannato per narcotraffico. C’era poi una società che dopo il terremoto aveva trasferito la sede dalle Marche all’Abruzzo ma che ancora non ha partecipato agli appalti, intestata formalmente al figlio di un personaggio che ha avuto rapporti con Cosa nostra. Di un’ultima società l’amministratore ha avuto stretti legami e rapporti d’affari con un soggetto condannato in via definitiva come appartenente a Cosa Nostra.
Nel Rapporto Dna 2013, oltre alla conferma di questi casi, il pm Capasso segnala altre due società che presentano indubbie infiltrazioni mafiose, entrambe con sede legale in Lombardia. «I soci, effettivi ed occulti, e amministratori – scrive Capasso a pagina 475 – sono comunque calabresi e campani, impiantati da anni nelle regioni del settentrione». Nel contesto della ricostruzione “post sisma” in Abruzzo, tra il 1° luglio 2012 e il 30 giugno 2013, la Prefettura dell’Aquila ha emesso cinque informazioni antimafia interdittive: tre nei confronti di imprese impegnate nella ricostruzione pubblica e due impegnate in quella privata. Di queste solo una ha sede legale in Abruzzo. Le altre provengono da altre aree geografiche e sono risultate essere contigue soprattutto ad ambienti criminali dell’area campana. Complessivamente, dal 2009 a giugno 2013, sono 27 le imprese impegnate nella ricostruzione colpite da determinazioni antimafia interdittive.
Se dall’Abruzzo si passa all’Emilia Romagna, le considerazioni sono le stesse. Anzi: anche alla luce della prevenzione amministrativa antimafia dispiegata su un’amplissima platea di operatori economici – le istanze di iscrizione presentate presso la sola Prefettura di Modena, nella cui giurisdizione si trovano i centri più colpiti dal sisma, sono 4mila – il rischio è che la quota parte di imprese mafiose “geograficamente diverse” sia molto più ampia.
Operazioni sospette
C’è un altro indicatore inequivocabile che, come afferma a pagina 328 il sostituto procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Maria Dell’Osso nel Rapporto Dna 2013, testimonia «la sinistra presenza della ‘ndrangheta – non certo occasionale né episodica, ma radicata da decenni – sui territori settentrionali». E ancora una volta l’indicatore non parte dal sud ma dal nord.
Tra il secondo semestre 2012 e il primo semestre 2013, le informative pervenute dalla Dia e alla stessa Dna evidenziano 334 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette: 161 riferibili alla ‘ndrangheta; 95 alla camorra, 55 a Cosa nostra, 5 alla Sacra corona unita, 11 a vari altri sodalizi delinquenziali italiani e sette a organizzazioni criminali straniere.
Ebbene, su 161 segnalazioni concernenti la ‘ndrangheta, 55 interessano la Lombardia, 50 l’Emilia Romagna, 17 il Lazio, 13 il Veneto, 4 il Piemonte, 2 il Trentino Alto Adige, 3 la Toscana ,1 le Marche, 1 la Puglia, 1 la Basilicata e 6 la Sicilia.Solo 8 sono relative alla Calabria, “patria” della ‘ndrangheta. Ben 118 segnalazioni, dunque, abbracciano complessivamente Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Le altre mafie
Per dare ancora un termine di paragone sull’innalzamento geografico di quella che Leonardo Sciascia chiamava la “linea della palma”, basti ancora notare che delle 95 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette concernenti la camorra, 32 interessano la Campania, 21 il Lazio, 11 la Lombardia, 1 il Piemonte, 1 il Trentino Alto Adige, 2 il Veneto, 5 l’Emilia-Romagna, 11 la Toscana, 3 l’Abruzzo, 2 le Marche, 4 la Puglia, 2 la Calabria. Delle 55 segnalazioni concernenti Cosa nostra, 17 interessano la Sicilia, 18 la Lombardia, 3 la Liguria, 1 il Piemonte, 3 il Veneto, 2 l’Emilia-Romagna, 2 il Lazio, 9 la Puglia. Delle 5 segnalazioni concernenti la Sacra corona unita, 2 interessano la Puglia, 1 il Lazio, e 2 il Piemonte.
Sarebbe del tutto erroneo ritenere, sulla base di questi dati, che Cosa nostra e camorra siano dedite al malaffare locale e non eccessivamente interessate alla realtà economico-produttiva del Nord. «Non è assolutamente così – spiega Dall’Osso – come dimostrano numerose indagini giudiziarie. Il fatto è che, allo stato, risulta particolarmente attiva ed in crescendo la capacità operativa dei sodalizi di stampo ‘ndranghetista»