Andrea Franceschi, Il Sole 24 Ore 7/2/2014, 7 febbraio 2014
IL MADE IN ITALY «PREDA» DEI BIG ESTERI
L’acquisizione di Poltrona Frau da parte degli americani del fondo Haworth è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo di una campagna acquisti che in questi anni, complice la crisi e la cronica sottocapitalizzazione delle aziende italiane, ha visto pezzi prelibati del made in Italy finire in mani straniere. Ed è stato un percorso quasi a senso unico. Se è vero infatti che non sono mancate le acquisizioni all’estero di aziende italiane, vedi l’affare Enel-Endesa, l’acquisizione dell’olandese Draka da parte di Prysmian o lo shopping oltreoceano di Campari, per citare i casi più eclatanti, queste hanno avuto un controvalore oltre 3 volte inferiore rispetto a quanto hanno comprato gli stranieri in Italia.
La sproporzione emerge dai numeri del mercato delle fusioni e acquisizioni monitorato dalla banca dati S&P Capital IQ. Interrogando il database emerge infatti che negli ultimi 3 anni sono state concluse 198 operazioni di fusione e acquisizione per un controvalore di 53,9 miliardi di euro in cui il compratore, o uno dei compratori, era straniero e la preda un’azienda italiana. Se si fa il percorso inverso per capire quanto gli italiani hanno comprato all’estero risultano 129 operazioni per un controvalore di appena 16,9 miliardi di euro.
Come interpretare questi dati? Si può vedere il bicchiere mezzo pieno nel constatare il fatto che, se dall’estero continuano a comprare Italia, vuol dire che il made in Italy continua nonostante tutto ad attrarre capitali dal mondo. Oppure quello mezzo vuoto: con l’ingresso dei capitali esteri l’Italia sta perdendo pezzi importanti e aziende un tempo considerate strategiche (si pensi al caso Telecom).
Le stime di S&P Capital IQ sono al ribasso perché riguardano solo le operazioni effettivamente andate in porto e solo quelle i cui dettagli sono stati resi noti al mercato perché almeno una delle parti in causa è un soggetto quotato, o una sua controllata. La sproporzione nel dare-avere è tuttavia inequivocabile. E ciò emerge soprattutto confrontando la situazione italiana a quella di Germania e Francia. Nell’ultimo triennio S&P Capital Iq ha censito 496 acquisizioni all’estero di aziende tedesche per un controvalore di oltre 77 miliardi di dollari a fronte di 558 operazioni per un totale 101 miliardi di dollari fatte dall’estero in Germania. La bilancia pende anche in questo caso sull’estero ma in misura non paragonabile al caso italiano. Per quanto riguarda poi le aziende francesi c’è addirittura un saldo domestico favorevole. Nel periodo di riferimento risultano infatti 329 operazioni di acquisizione all’estero di società francesi per un controvalore di 90 miliardi di dollari a fronte di una campagna acquisti straniera in patria che conta 344 operazioni per un valore totale di 83 miliardi di dollari.
L’Italia è tra le mete preferite dello shopping francese: nella top-ten delle acquisizioni estere delle società d’oltralpe tre sono proprio quelle fatte nel nostro Paese: i marchi del lusso Bulgari e Loro Piana rilevati dal colosso Lvmh e Parmalat comprata da Lactalis. Nell’ultimo triennio ci sono state operazioni dalla Francia all’Italia per un controvalore di oltre 23 miliardi di dollari mentre lo shopping italiano in Francia è stato pari ad appena 3,6 miliardi.