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 2014  febbraio 07 Venerdì calendario

DOPO 10 ANNI SCOPRONO IL REATO «ESTERO»


Passi che ci sono i processi-fotocopia sulla frode fiscale nella compravendita dei diritti tv: ben due, chiusi con il proscioglimento collettivo in Cassazione. Vedi il filone romano dello stesso caso Mediatrade (uguali fatti e identiche prove portati in quest’ultima costola del procedimento in corso a Milano), che il 6 marzo 2013 finisce appunto con l’assoluzione di Silvio Berlusconi, del figlio Pier Silvio, del produttore di film americano Frank Agrama, di Fedele Confalonieri e degli altri coimputati. E vedi il sempre analogo processo Mediatrade, celebrato a Milano e chiuso il 18 maggio 2012, ancora con Silvio Berlusconi assolto.
Passi anche che l’ultima costola milanese dello stesso processo Mediatrade si trascini con Pier Silvio, Fedele Confalonieri e lo stesso Frank Agrama ancora in ballo sugli stessi usurati argomenti. Passi infine che la giustizia sia lumaca nel voler sembrare giusta. Passi tutto e anche il suo contrario.
Ma è legittimo, a questo punto, domandarsi come sia possibile che dopo nove anni di terzo processo Mediatrade (specchio dei due precedenti), la pubblica accusa chiamata Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, all’improvviso si accorga che nel caso sono coinvolti tre stati: l’Italia, l’America, la Cina.
E che, di colpo, la stessa accusa si renda conto di dover rincarare la contestazione. Non più «frode fiscale» come nei casi gemelli, si badi. Ma «frode fiscale transnazionale». Tecnicamente, questo presunto reato ingrossato, si chiama «nuova ipotesi di circostanza». E la circostanza si è presentata ieri, in mezzora di udienza, guarda caso nell’ultima di un dibattimento ormai logoro e trascinato dal 2005.

SCOPERTA L’ACQUA CALDA
È mai concepibile che i due pubblici ministeri impegnati a indagare da un decennio dentro il Biscione, negli Stati Uniti e a Hong Kong, si siano accorti soltanto ieri (a sorpresa) che la faccenda spazia oltreconfine? E perciò meriti una contestazione più grave? Tutto questo, inoltre, non solo in chiusura di dibattimento, ma proprio nel giorno in cui Pier Silvio Berlusconi chiede di essere interrogato. Per portare in aula la propria versione dei fatti.
«I fatti sono stati commessi in più di uno Stato e con il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato», ha riferito alla spicciolata il pm Fabio De Pasquale impedendo al testimone di accomodarsi per l’interrogatorio. «Riteniamo che il gruppo che ruota attorno a Franck Agrama, nel tempo, sia stato impegnato in un’importante attività di evasione fiscale negli Usa e Hong Kong», ha aggiunto. Eppure si sa: era stato proprio lo stesso pubblico ministero, a cominciare dal 2007 e non dal 5 febbraio 2014, a ordinare perquisizioni nelle società statunitensi e di Hong Kong riconducibili al produttore americano, ritenuto «socio occulto» di Silvio Berlusconi. Ed era stato lo stesso magistrato a gestire un giro intricato di rogatorie bloccate in seguito a sue audizioni negate, alle autorità giudiziarie straniere, sulle modalità delle perquisizioni stesse.
Storie antiche, riemerse con accuse mai provate e lanciate a Silvio Berlusconi dall’ex senatore (iper-inquisito e iper-imputato) Sergio De Gregorio, il quale si è assunto la paternità del blocco delle stesse rogatorie. Storie antiche dunque, e che sembrano stridere con la decisione (senz’altro sorprendente) di ieri. Soltanto adesso la pubblica accusa ritiene che proprio da alcune carte finalmente arrivate per rogatoria da Hong Kong, ci siano elementi che dimostrano «il radicamento di una organizzazione criminale che, per una ventina d’anni, avrebbe effettuato attività illecite in diversi Stati».

LO SLITTAMENTO
Di fatto, l’audizione in aula di Pier Silvio Berlusconi, che ieri doveva chiudere il processo per la presunta frode fiscale (8 milioni dal 2005 al 30 settembre 2009), slitta al 13 marzo e con la nuova accusa di «frode fiscale transnazionale », punibile fino nove anni. Mentre per effetto di questa contestazione suppletiva le lancette della prescrizione avanzano di due anni: invece del 30 marzo 2017 sarà lo stesso giorno del 2019. I difensori del vice presidente di Mediaset, Niccolò Ghedini e Filippo Dinacci parlano di «contestazione destituita di ogni fondamento in fatto e in diritto». Mentre da via Paleocapa arriva una nota nella quale i vertici dell’azienda di Pier Silvio Berlusconi ribadiscono che «Mediaset ha fornito le prove i prezzi dei diritti tv, oggetto del processo, erano congrui e in linea con i prezzi di prodotto analogo acquisito da altre majors». E che «sia il presidente, sia il vicepresidente di Mediaset sono estranei a qualunque accordo, rapporto o intesa con Agrama e con il gruppo dei suoi rappresentanti a Los Angeles e Hong Kong».