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 2014  febbraio 07 Venerdì calendario

STORIA DI DANTE, IL CANTANTE FINITO NELL’INFERNO GIUDIZIARIO


Dante Brancatisano pensava di avere un nemico. Per lui, calabrese di Melito di Portosalvo, in provincia di Reggio, era molto chiaro quale nome avesse, questo nemico: ’ndrangheta. Quand’era ragazzo, negli anni Ottanta, con la sua band musicale, i Pitagorici, contro la ’ndrangheta compose pure una canzone: s’intitolava “Vento del Sud” e la cantava durante le fiere che si tenevano nei paesi del Reggino.
Un successo. Che però non piacque a tutti. Dante racconta che «i carabinieri seguivano il nostro pulmino, perché la gente era ostile a San Luca, ad Africo. (…) Ci buttavano addosso le bottiglie d’acqua fredda. Gli adulti stavano fermi, osservavano, non muovevano un dito». Colpa di una mentalità perversa che esalta l’illegalità e il sopruso, e di cui quei luoghi sono intrisi. Una mentalità che è alimentata, e spesso imposta con la forza, dal grande nemico di Brancatisano e in generale dei calabresi perbene: la ’ndrangheta. Ma undici anni fa Dante scopre di avere un secondo nemico: lo Stato. L’8 aprile del 2003, in piena notte, la polizia fa irruzione nella sua casa di Samo per una perquisizione che si conclude con il suo arresto. Sulla sola base di intercettazioni telefoniche in cui chiacchiera con la figlia del boss Natale Bruzzaniti, madre di un promettente cantante in erba che Brancatisano, di professione produttore musicale, seguiva personalmente, Dante viene accusato dal pm milanese Laura Barbaini di essere, addirittura, una figura in ascesa all’interno di un clan capeggiato da Giuseppe Morabito detto Tiradritto.
Ha così inizio una via crucis che lo stesso Brancatisano ha ora dettagliatamente raccontato nel libro “Storia straordinaria di un uomo ordinario. Un caso di malagiustizia” (Ed. Vololibero, pp. 160, euro 15). Brancatisano viene condannato in primo grado, dal Tribunale di Milano, a 7 anni e 6 mesi. La condanna verrà confermata in appello e Dante, nel frattempo, avrà trascorso 3 anni e 25 giorni da recluso nel carcere di Bergamo. Poi, nel 2006, la Cassazione annulla sia i processi che hanno portato alle condanne per mafia di Tiradritto e Bruzzaniti sia i processi subiti da Brancatisano medesimo, poiché per Tiradritto e Bruzzaniti (i presunti capi di Brancatisano) vi sarebbero le prove di un traffico di stupefacenti su Milano (con cui Brancatisano non ha nulla a che fare) ma non di organizzazione mafiosa. A quel punto, essendo stata intanto rilevata l’incompetenza territoriale di Milano, i fascicoli riguardanti Brancatisano vengono inviati alla procura di Reggio Calabria. Ma il tribunale reggino non recepisce in alcuna parte la sentenza della Cassazione e, riprendendo pari pari il dispositivo della sentenza del processo d’appello milanese, nel nuovo processo di primo grado condanna Brancatisano a 5 anni, ignorando le attenuanti generiche. E così il calvario continua. In attesa di un secondo processo d’appello che gli renda definitivamente giustizia, Dante, che non è più sottoposto a regime detentivo, si è stabilito in Ticino, dove ha ripreso a occuparsi della grande passione della sua vita: la musica. Da poco - unico frutto buono partorito da quest’allucinante vicenda - è uscito un cd contenente dieci nuovi brani di Brancatisano. Il titolo è “Via Gleno”. Come la strada in cui si trova il carcere di Bergamo in cui Dante non vuole mettere mai più piede.