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 2014  febbraio 07 Venerdì calendario

I MESTIERI DA STADIO COSTRUITI INTORNO ALLA NUOVA FABBRICA DI GOL

I loro padri entravano dai cancelli di Mirafiori prima che facesse giorno, qui siamo in zona Continassa, venti chilometri più a nord. Non è l’alba ma sono le 16 di pomeriggio, il cancello dei lavoratori dello stadio è chiamato Ob-Van e al di là non c’è una delle grandi fabbriche di auto del mondo bensì il primo impianto italiano fatto costruire direttamente da un club, lo Juventus Stadium (41 mila posti). I nostri protagonisti arrivano alla spicciolata, ragazzi e ragazze in proporzioni omogenee, l’età va dai 20 ai 35 anni. Qualcuno arriva in macchina, molti si sono fatti accompagnare dagli amici, chi è tifoso bianconero porta la sciarpa ma per la stragrande maggioranza è un tranquillo sabato di lavoro trascorso in una fabbrica di gol invece che in uno stabilimento di gomme o pezzi di ricambio. Usciranno da qui tra le 23 e la mezzanotte, aspetteranno che gli spettatori venuti da Torino o da altre città con i pullman sciamino e poi anche per loro si potrà dire che la giornata è finita. I sociologi industriali di fronte a quest’immagine troveranno un’ulteriore conferma di quanto sia lunga la scia del post-fordismo, la grande cattedrale che lascia posto ai mille lavori dell’economia molecolare ma forse siamo oltre, alle prove generali della società dell’intrattenimento. E non è un caso che Torino sia il laboratorio di quest’incontro tra sport & jobs: le Olimpiadi del 2006 avranno lasciato tanti debiti ma hanno seminato nuove professionalità.
Tutto sommato anche per il cronista non è facile convincersi che la fotografia del nuovo lavoro flessibile 2.0 la si possa scattare in uno stadio ma è così.

Cambiamento epocale. Sul prato verde si esibiranno le stelle del football compreso quel Paul Labile Pogba, classe 1993, che non è antropologicamente molto diverso dai giovani che passano dal cancello. I ragazzi fanno vedere il badge e raggiungono la loro postazione. Andranno a occupare posizioni da cuoco, da cameriere, da steward, da parcheggiatore, da hostess e da babysitter. Qualcuno lavorerà come deejay qualcun altro farà l’infermiere, dei loro amici avranno lavorato durante la settimana per preparare il campo da gioco o più prosaicamente per riparare/pulire i seggiolini. I mestieri dello stadio sono almeno una ventina e in media una partita alla Continassa dà lavoro direttamente a 1.300 persone che salgono nei match di cartello, come Juve-Bayern, fino a quota 1.450. Se volessimo calcolare il monte salari del solo match day potremmo stimarlo tra i 100 e i 130mila euro.
Ivan Stacchino ha 36 anni e ha cominciato a lavorare nell’intrattenimento sportivo proprio con le Olimpiadi. È dipendente di una piccola società, la Awe, e coordina 70 persone che curano la cabina di regia dell’intrattenimento, animano i tre grandi maxi-schermi, scelgono le musiche e le immagini, fanno le mascotte e le truccatrici. Nell’attesa della partita sono almeno 1.500 gli spettatori che passano il tempo a giocare, cantare, a sfidarsi al calcio-balilla e alcuni di loro per star più tranquilli lasciano i figli al baby park fino a fine partita. Solo una minoranza (il 5%) dei ragazzi che lavorano con Ivan ha il posto fisso, il resto viene ingaggiato il giorno del match. «Il nostro lavoro nei vecchi stadi non esisteva», dice Stacchino. «È cambiata la mentalità, ci preoccupiamo che lo spettatore si diverta non solo guardando i suoi beniamini, anche aspettandoli». Stiamo parlando di un cambiamento epocale per la nostra industria calcistica, qui vige «l’ottica rivolta alla soddisfazione del cliente» e vuol dire che si vuol ripagare il consumatore non solo con una buona prestazione della sua squadra ma anche con un’esperienza positiva e un pomeriggio diverso. Che poi questa mutazione del calcio porti più lavoro in un’epoca di disoccupazione galoppante non può che far piacere.
Il modello di business dello stadio del futuro è estremamente flessibile così come il lavoro che impiega. Alcuni settori di attività sono esternalizzati dalla Juventus a piccole società che presto o tardi diventano partner. La Top Food, per esempio, gestisce i servizi di ristorazione e pur di lavorare nel calcio ha investito direttamente 3,5 milioni nelle cucine dello stadio allineandosi ai grandi impianti come l’AllianzArena di Monaco di Baviera e l’Emirates di Londra. La Top Food ha fatto esperienza nel catering per i concerti e questo le permette di poter convocare il giorno della partita 30 cuochi, 200 camerieri, 130 baristi, 15 responsabili di sala. Per i “flessibili” si usa il contratto di lavoro intermittente, il vecchio contratto a chiamata. Il meccanismo viene definito a “fisarmonica”, per un dipendente fisso ce ne sono 5 volanti e un cuoco arriva a prendere un buono stipendio: una media tra 1,6 e 2 mila euro al mese.
Luigi Camera ha 50 anni, viene dalla Basilicata e fa lo chef da 30. Lui e i suoi colleghi riescono a dar da mangiare a 4.200-4.500 persone per ogni partita, tutti seduti. «Lo spettatore che viene a mangiare da noi ha la testa alla partita, quindi vuol mangiare veloce, ma noi riusciamo a far presto e a dare qualità. La pasta la cuociamo al momento». Sarà che ormai nessuno vuole aspettare tanto, nemmeno al ristorante, ma Camera oltre al timing giusto riesce a organizzare per i clienti top anche lo show cooking, il gioco del cuoco che cucina a vista. I lavoratori delle cucine rispetto agli altri mestieri dello stadio hanno il vantaggio di essere chiamati non il solo giorno della partita ma almeno altri due per ogni match per preparare tutto. Un ragazzo aiuto-cuoco porta a casa dai 60 agli 80 euro netti al giorno ed è difficile sapere quanto faccia a fine mese perché tutto dipende dal calendario. Facciamo l’ipotesi che la Juve tra campionato e Coppa giochi 3 volte in casa in un mese, vuol dire per lui una busta paga tra i 540 e i 720 euro per un impegno di nove giorni.

Non ci sono solo Vip. Si comincia con il lavoro intermittente ma poi la tendenza delle società di fornitura è quella di fidelizzare il lavoratore. Dice Roberto Pasquettaz, presidente della Top Food: «Il cliente ama trovare in sala lo stesso cameriere e quindi noi selezioniamo i bravi e tendiamo a trattenerli. Ogni anno la scrematura è solo del 10%». I cuochi intuiscono lo svolgimento della partita solo dalle urla dei tifosi perché «riusciamo a vederne sì e no dieci minuti», racconta Luigi, «anche perché nei ristoranti tra il primo e secondo tempo si serve il dolce».
Il giorno della partita i camerieri arrivano alle 16, i cuochi sono dentro lo stadio già dalla mattina e se ne vanno all’1 o alle 2 di notte. «Non pensi che sia un servizio solo per i vip», precisa Pasquettaz. «La stessa attenzione che diamo ai clienti seduti la mettiamo nel fare i panini. Affettiamo i salumi solo al momento e il pane viene cotto due ore prima». E in questo caso la qualità è labour intensive, più si vuole soddisfare il cliente più serve attenzione e personale. Meno male.
Con tutto il rispetto di cuochi e camerieri la figura-chiave è lo steward, e se vogliamo è il mestiere più difficile perché porta con sé una nuova concezione del tifo negli stadi senza barriere. Lo steward non vede nemmeno un minuto della partita perché lavora spalle al campo, nel suo badge identificativo c’è solo il nome di battesimo e l’iniziale del cognome per evitare che qualche scalmanato prenda appunti.

Prestazioni occasionali. Legalmente gli steward sono incaricati di pubblico servizio (un gradino sotto i pubblici ufficiali) e allo Juventus Stadium li recluta la Manpower, una multinazionale delle agenzie del lavoro che seleziona il personale anche per l’ospitalità e i parcheggi. «Per ogni partita servono 700-800 persone che vengono retribuite con il sistema dei voucher Inps per le prestazioni occasionali di tipo accessorio, uno strumento che comprende le coperture assicurative, contributive e affronta anche eventuali infortuni sul lavoro», dice Giuseppe Carlucci, il manager che se ne occupa. I voucher inizialmente sono stati usati per il lavoro agricolo, poi estesi al pagamento delle colf e ora sembrano “calzare” per le manifestazioni sportive.
La Manpower ha sulla piazza di Torino una banca dati di 1.200 persone e in genere tutti gli iscritti, pur alternandosi, riescono a lavorare almeno due partite su tre. Lo steward prende, a seconda del livello di responsabilità, dai 40 ai 100 euro e la sua prestazione è regolata da un turno di 6 ore. Dice Riccardo M., 32 anni: «Il nostro lavoro è sotto il segno dell’accoglienza. Quando qualche spettatore esagera verbalmente dobbiamo identificarlo e controllare il suo titolo, se l’esuberanza diventa anche fisica dobbiamo tamponare la sua azione e solo se le cose non si aggiustano chiamiamo il delegato alla sicurezza».
Per diventare steward bisogna seguire un corso di formazione di 20 ore più eventuali aggiornamenti nel corso della stagione. «In caso di match spigolosi o quando la storia delle tifoserie consiglia prudenza», spiega Carlucci. La Manpower recluta cento steward in più dello standard che viaggia attorno alle 560 unità. Un problema a sé è rappresentato dal rapporto con gli ultras e in questo caso gli steward lavorano in stretto collegamento con le forze dell’ordine. Riccardo Munarin durante la settimana lavora in un’azienda di autotrasporto e l’attività nel weekend gli serve per integrare lo stipendio. Alessandro De Marie è invece uno studente universitario dell’ultimo anno di biotecnologie, viene da Ivrea e si capisce che non è tifoso della Juve. «Tanti miei amici di università mi hanno chiesto di venire anche loro a lavorare qui, l’ambiente del calcio attrae. E poi qui si impara a far gruppo per fronteggiare le situazioni più spinose, comunque pugni o spintoni sono rarissimi e la media si abbassa quanto più è curato il livello organizzativo».
A ogni buon conto ciascun steward sotto la pettorina gialla ha un secondo badge che in caso di necessità attiva un collegamento Gps per monitorare i suoi spostamenti. Se cuoco o deejay possono essere mestieri per la vita lo steward è un’occupazione solo per quando si è giovani e robusti? Non è detto. I club stanno ragionando sull’esperienza di questi anni e non è detto che non ci siano evoluzioni professionali.

Lavoro nel campo. Tra gli steward ci sono anche delle ragazze che però non vengono indirizzate verso la gestione dell’ordine pubblico ma lavorano ai tornelli, come la venticinquenne Daria Musso. «Tutti gli ingressi sono automatizzati ma c’è bisogno di assistenza soprattutto quando si forma la fila e chi sta dietro preme per accelerare la procedura». Il tornello comunque è presidiato fino a fine partita e di conseguenza il rischio non è rappresentato dagli ultras ma dal freddo. Le hostess vere e proprie sono invece 100, sono sempre le più ricercate dai fotografi e si capisce il perché, una di loro prende 70-80 euro e il turno è di 6 ore. Il 95% delle hostess è studentessa, il turn over è bassissimo e il compito che le attende allo stadio non è molto diverso da altri eventi e congressi. Accolgono, registrano, ascoltano.
Il parcheggiatore tra le figure della Manpower forse è quella che meno si diverte e ogni partita ne servono 60-70 per presidiare i 4mila posti macchina. Cominciano a vigilare le piazzuole sei ore prima della gara e finiscono per le 23. Di loro c’è bisogno solo nel match day e quindi guadagnano di meno degli addetti in cucina. La stessa cosa vale per i 90 crocerossini/e che sovraintendono a tutto il côté sanitario. Ci sono da far funzionare 5 ambulanze e 8 ambulatori per garantire la sicurezza dei tifosi troppo passionali.
Nella galassia del lavoro da stadio un ruolo importante ce l’hanno quelli che lavorano per tenere il campo nelle migliori condizioni possibili. Lo curano durante la settimana, lo coprono se nevica o solo piove. Anche in questo caso c’è una piccola società, la Semana Green, che fa tutto ma i responsabili dello stadio d’inverno guardano con attenzione il notiziario meteo: se c’è rischio che tutto si imbianchi servono 120 lavoratori intermittenti in più. I dipendenti fissi della Juve che si occupano dello stadio sono solo 25 ed è attorno a loro che girano gli altri 1.400.
Le cose finora sono andate così bene che la novità Stadium ha neutralizzato la Grande Crisi e il lavoro, almeno qui, è aumentato. Sarà sempre così e la customer satisfaction funzionerà anche senza scudetti? O per dare lavoro a tutti questi ragazzi la squadra di casa è condannata a vincere sempre?
Dario Di Vico