Danilo Taino, Sette 7/2/2014, 7 febbraio 2014
LA GERMANIA CORRE VERSO IL VOTO EUROPEO TRA L’INCUBO DI INFILARE IL BINARIO MORTO DI STRASBURGO E LA SCOPERTA DI ESSERE SEMPRE PIÙ VECCHIA E SOLA
Nella borghese Berlino Ovest c’è una bella piazza, forse la più bella della città, Viktoria Luise Platz. A un centinaio di metri c’è uno dei tanti Kinderspielplatz, un parco giochi attrezzato per i bambini. Nel Kinderspielplatz c’è Mark, sette anni: ha un messaggio a cui Angela Merkel farebbe bene a prestare orecchio. «Sono stanco di scendere dallo scivolo da solo» si lamenta. «Sempre da solo, non c’è mai nessuno qui a giocare con me». La mamma, Ingrid, dice che sì, a Berlino Est si vedono molti ragazzi e ragazze che spingono la carrozzina: «ma perché quei pochi che fanno figli sono tutti concentrati lì», nei quartieri della gentrification, ristrutturati dopo la caduta del Muro e occupati dai giovani professionisti urbani ad alto reddito. «Ma a Berlino abbiamo più parchi gioco che bambini», conclude desolata.
Il problema, in Germania, è serio. E Frau Merkel lo conosce bene, anche se all’improvviso se n’è dimenticata. Nel censimento di inizio decennio, i tedeschi hanno scoperto di avere perso un milione e mezzo di concittadini. Al 30 giugno dell’anno scorso erano poco più di 80,5 milioni, una popolazione che si restringe: gli esperti calcolano che, sulla base dei trend in atto e se non interverranno novità, nel 2060 gli abitanti saranno non più di 66 milioni. Un numero che difficilmente fa pensare a una grande potenza, non solo in politica ma anche in economia. Perdere il 18-20% di persone nei prossimi cinquant’anni soprattutto perché nascono pochi bambini significa mettere in conto una sempre maggiore penuria di manodopera, un rapporto tra il numero di pensionati e il numero di chi lavora poco sostenibile, una spesa pubblica gonfiata per sostenere i costi della sanità mentre il numero dei contribuenti cala.
Il saliscendi dell’età pensionabile. Qualsiasi governo sia al comando a Berlino lo sa: la demografia è il problema numero uno della Germania. In otto anni pieni di potere, la signora Merkel ne ha parlato alcune centinaia di volte, per dire che i conti pubblici in ordine oggi – un debito sotto controllo, in particolare – sono essenziali per non trovarsi in condizioni finanziarie drammatiche domani. E quando si parla di aiuti alla famiglia, per favorire la nascita dei bambini, i partiti sono quasi sempre in Grande Coalizione: il Paese destina ogni anno duecento miliardi di euro di sussidi alle famiglie. Fino a pochi mesi fa, un altro pilastro, tra i più importanti, della politica tedesca era la necessità di tenere i lavoratori a lavorare il più a lungo possibile, sia per contrastarne la penuria in alcune attività sia per ridurre il periodo durante il quale beneficeranno della pensione. Su questa base, l’età pensionabile è stata portata – gradualmente, entro fine dei prossimi Anni Venti – a 67 anni. In omaggio alla stabilità finanziaria e alla demografia. E su questa base, durante la crisi, la cancelliera ha tenuto lezione agli europei sulla necessità di alzare l’età pensionabile, perché in tutto il Vecchio Continente di bambini ne nascono pochi.
Nonostante che dal suo Kinderspielplatz di Berlino Ovest Mark si faccia sentire, questo pilastro di saggezza è improvvisamente venuto a mancare nelle analisi recenti di Frau Merkel, dei ministri del suo nuovo governo di Grosse Koalition, dei partiti che lo sostengono, la Cdu-Csu della cancelliera e la Spd guidata da Sigmar Gabriel. Il patto di coalizione, ribadito nei giorni scorsi, ha decretato il contrordine: prevede l’abbassamento dell’età pensionabile da 67 a 63 anni per coloro che hanno versato contributi pensionistici per 45 anni. In sé, pare e probabilmente è una misura fatta col cuore, destinata a favorire chi ha già lavorato tanto (ma non finalizzata a fare spazio ai giovani nel mercato del lavoro, dal momento che la disoccupazione è al 5,2%, e in calo). In realtà, si tratta di un’inversione politica di grande portata che probabilmente avrà effetti considerevoli. Il predecessore della signora Merkel nella cancelleria di Berlino, Gerhard Schröder – il propulsore delle riforme del mercato del lavoro tedesco a inizio secolo – ha criticato decisamente la svolta del nuovo governo, del quale pure fanno parte i suoi compagni socialdemocratici, che anzi il cambio di marcia sull’età pensionabile hanno imposto. Dice che sarà negativo per gli equilibri finanziari tedeschi e che soprattutto farà danni nel rapporto con i partner europei, ai quali Berlino ha dato lezioni di austerità sino a ieri per poi fare il contrario in casa.
Gioco di sponda a sinistra. Ecco, quel che Mark di Viktoria Luise Platz segnala è che un asse portante, forse il principale, della politica economica tedesca da una dozzina d’anni – la necessità di rispondere alla crisi demografica – se non è venuto meno come minimo vacilla. Sacrificato a quello che Frau Merkel chiamerebbe l’obbligo di dare stabilità politica al Paese, cioè trovare un accordo con la Spd. O più probabilmente a quello che i critici della cancelliera definiscono il suo dover cambiare pelle a ogni fluttuazione elettorale: prima, al debutto come leader della Cdu, molto liberale; poi, per fare il primo governo di Grande Coalizione, pragmatica ma decisionista; dopo ancora, al momento dell’alleanza con i Liberali, riformista a parole ma non nei fatti (tanto le conseguenze colpivano i partner di governo); oggi, di nuovo molto pragmatica ma sempre più spostata sul terreno della sinistra, tanto che il socialdemocratico Schröder la deve criticare da destra.
Il problema non è da poco: per dimostrare di essere una leader per tutte le stagioni, la signora Merkel sta terremotando una serie di paradigmi che stavano al cuore non solo dei suoi due quadrienni di governo ma che sono stati i centri di gravità del successo economico tedesco e del ruolo della Germania nella crisi europea del debito.
Alla vigilia di elezioni per il Parlamento europeo (a maggio) che saranno di notevole importanza, il transatlantico dell’economia tedesca sta dunque virando su una rotta inaspettata. La consultazione elettorale è di rilievo non solo perché i sondaggi danno in crescita una serie di partiti anti-Ue. Soprattutto, si tratta delle prime elezioni europee dopo la crisi finanziaria e dopo i contrasti tra capitali che questa ha indotto, tensioni registrate soprattutto tra la Germania e i Paesi nordici da una parte e la cosiddetta periferia, i Paesi del Sud. Il cambiamento di stagione nel governo tedesco, presentato come poca cosa a Berlino, quasi una normalità, sarà in realtà uno degli elementi centrali della Ue e dell’Eurozona dei prossimi anni. E qualcosa che sarà nella mente degli elettori di molti Paesi quando andranno a votare per il Parlamento di Strasburgo – in Grecia, in Irlanda, in Spagna, in Portogallo, probabilmente anche in Italia e persino nella stessa Germania, dove il partito anti-euro Alternative für Deutschland è dato nei sondaggi attorno al sette per cento. Anche perché la svolta di Berlino non riguarda solo le pensioni.
Minore flessibilità economica. Nel programma della Grosse Koalition c’è l’introduzione di un salario minimo nazionale, idea alla quale la signora Merkel si era sempre opposta. Questo non solo va contro la tradizione delle relazioni sindacali tedesche, orientate a contrattare il salario a livello locale e aziendale. Stabilisce anche la paga minima a 8,50 euro l’ora, quota che in alcune regioni, soprattutto nella parte Est del Paese, è considerata alta e probabilmente spingerà una serie di lavoratori fuori dall’economia. Il passo è comprensibile se si prende il punto di vista di molti tedeschi, i quali ritengono la loro società ingiusta, nonostante che le fabbriche funzionino, le esportazioni siano in boom, la disoccupazione sia bassa: l’80% dei tedeschi è favorevole al salario minimo. Il problema è che questa scelta toglierà flessibilità all’economia e ridurrà la crescita, con il possibile spostamento di imprese nei vicini Paesi dell’Est.
Quel che più preoccupa è che la Germania stia vivendo sugli allori delle riforme dell’Agenda 2010 voluta nel 2003 da Schröder. Da allora non ne ha più fatte: Berlino ne avrebbe un grande bisogno – la produttività non sta migliorando a sufficienza, gli investimenti privati calano – ma è la capitale europea che meno ha riformato dall’inizio della crisi dell’euro. Detto in altri termini, la Germania dovrebbe fare riforme per diventare più efficiente e invece smonta parti di quelle già fatte, di quelle responsabili del suo successo economico degli ultimi dieci anni. Rischia di indirizzarsi sulla strada del rallentamento, se non del blocco della crescita. Risultato: oltre che una Grosse Koalition – hanno detto più giornali tedeschi – la Germania avrà anche una Grosse Stagnation. Se succederà, se come è probabile Frau Merkel manterrà le promesse fatte alla Spd, l’Europa si troverà di fronte alla locomotiva del continente ferma su un binario morto. In più, c’è un’altra novità, per gli europei alle prese con Berlino: da oggi la signora Merkel è meno credibile quando chiede di fare le riforme – i famosi compiti a casa - come primo passo per superare le crisi di fiducia. In tutti i modi, stiamo entrando in una fase nuova, nella quale l’àncora Germania è incerta.
Se questo si rifletterà su un calo delle esportazioni tedesche sarà da vedere. Molti economisti sostengono che il problema degli squilibri europei nasce dall’enorme surplus della bilancia dei conti correnti della Germania. Secondo l’istituto di ricerca Ifo, nel 2013 è stato di 260 miliardi di dollari, il 7,3% del Prodotto interno lordo: il maggiore al mondo, più grande anche di quello cinese, l’anno scorso a 195 miliardi di dollari. Se le misure che Berlino sta per adottare stimoleranno i consumi e le importazioni e ridurranno il ritmo di crescita delle esportazioni il resto dell’Europa potrebbe beneficiarne. Se invece si limiteranno a rendere meno competitive le industrie esportatrici tedesche e a rallentare l’economia – il Fondo monetario internazionale prevede una crescita dell’1,6% nel 2014 e dell’1,4% nel 2015 – la situazione sarà solo negativa per il resto dell’Europa, la quale dovrà fare a meno anche di quel non fortissimo traino che è oggi l’economia tedesca.
Le critiche degli industriali. Siamo di fronte a un notevole riallineamento di Berlino, insomma. Che ha anche un suo lato nelle relazioni estere tedesche. Da una parte – si è visto – una possibile minore autorevolezza nell’Eurozona. Da un’altra, rapporti parecchio tesi con gli Stati Uniti. Non solo per il telefonino di Frau Merkel spiato dalle barbe finte di Washington. Anche a causa di critiche pubbliche avanzate dal dipartimento del Tesoro americano alla politica economica tedesca, secondo Washington troppo orientata alle esportazioni e poco ai consumi interni. Da un’altra ancora, una ricerca di relazioni sempre più strette con i Paesi emergenti, in particolare Cina e Russia. Verso Pechino, l’offensiva commerciale tedesca è ormai dispiegata da anni e la cancelliera continuerà a sostenerla con viaggi di Stato seguiti da una corte di aziende e banche grandi e piccole. Verso la Russia, sta forse per nascere una nuova politica, meno attenta ai diritti umani e ancora più sensibile al business. Nuovo coordinatore degli affari russi per il governo di Berlino, infatti, è stato nominato Gernot Erler, un parlamentare socialdemocratico che ha sostenuto la necessità di “capire la posizione dell’altra parte”, cioè di Mosca: meno critiche pubbliche al Cremlino, in altri termini. Anche se, bisogna dire, su queste cose è la cancelliera e nessun altro a decidere la linea da seguire.
E proprio su “Frau Merkel numero tre” – terza volta al governo – nei prossimi mesi si focalizzerà l’attenzione dell’Europa e del mondo. Nelle nuove condizioni, saprà rimanere la leader flessibile che non sbaglia mai? Alcuni commentatori sostengono che ultimamente la cancelliera sia meno brillante e manovri con difficoltà: nella relazione cedevole con il nuovo alleato socialdemocratico che rischia di fare retrocedere l’economia; di fronte alle critiche degli industriali per le riforme non fatte e per il ridimensionamento di quelle in essere; nelle tensioni ambivalenti con l’alleato Barack Obama. Per non dire degli allarmi di Mark, bambino solo di Viktoria Luise Platz.
@danilotaino
(Germania 1 - continua)