Mauro Suttora, Oggi 5/2/2014, 5 febbraio 2014
PENSATE DI COMPRARE ITALIANO? VI SBAGLIATE
Se tutto va come sembra, al tricolore stampato sul timone degli aerei Alitalia si affiancheranno i colori di Etihad, la compagnia degli Emirati Arabi che è intenzionata a prendersi metà del vettore nazionale. Ma tantissimi marchi italiani, gli stranieri se li sono presi tutti. È difficilissimo, per esempio, comprare un formaggio italiano nei supermercati italiani. La multinazionale francese Lactalis, infatti, ha acquisito Locatelli nel 1997, Invernizzi sei anni dopo, poi Cademartori, infine, Galbani nel 2006.
Ma il boccone più grosso i francesi l’hanno inghiottito tre anni fa, quando si sono impadroniti di Parmalat che, nonostante i suoi 4,3 miliardi di ricavi e 280 milioni di utile annuo, dopo il crac di Calisto Tanzi era diventata una preda appetibile.
Ormai c’è la globalizzazione, e quindi è normale essere comprati e venduti? Dovremmo, invece, preoccuparci: i francesi non ci hanno pensato due volte a chiudere le centrali del latte di Genova e Como. E sono finiti sotto inchiesta dopo avere usato un miliardo di utili dell’italiana Parmalat per acquistare una società in America, invece di reinvestirli in Italia.
ACQUE MINERALI, GELATI, BIRRA
Il ritmo al quale l’Italia perde i suoi gioielli è impressionante. Nell’alimentare, è la svizzera Nestlè a essersi assicurata i marchi più famosi: acque minerali San Pellegrino e Panna, Perugina, Buitoni, gelati Motta e Antica gelateria del Corso. Anche i gelati Algida sono stranieri: appartengono al colosso anglo-olandese Unilever.
In Olanda, alla Heineken, è finita la Birra Moretti udinese. La Peroni, da tempo, è sudafricana. Gli spagnoli si sono specializzati nell’olio d’oliva: Bertolli, Carapelli, Sasso. Anche la Star è spagnola al 50 per cento.
La pasta Delverde è finita addirittura in Argentina, mentre lo storico cioccolato Pernigotti, nato nel 1868, dallo scorso luglio è passato a una famiglia di imprenditori turchi. Gli spumanti Gancia sono russi, i pomodori pelati Ar addirittura giapponesi. E nel 2013 una grossa azienda di Chianti classico è stara acquistata da una società di Hong Kong.
Un altro campo di eccellenza del made in Italy è da tempo oggetto di scorribande straniere. Quasi tutti i grandi nomi italiani della moda ormai non sono più italiani. Si fa prima a elencare quelli che ci rimangono: Armani, Prada, Dolce & Gabbana, Ferragamo. Fra gli ultimi a gettare la spugna, Loro Piana (dopo la morte di uno dei fratelli capostipite), i gioielli Pomellato e Dodo (sempre nel 2013), Bulgari e Brioni (nel 2011).
GUERRA FRA FAMIGLIE: PINAULT-ARNAULT
Due giganti francesi si spartiscono la moda italiana: Louis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) della famiglia Arnault, fatturato a 29 miliardi di euro e utili a 3 e mezzo, che controlla Bulgari, Fendi, Pucci, Loro Piana, i profumi Acqua di Parma e la pasticceria milanese Cova (rivendicata però anche da Prada); e la Kering (fino a pochi mesi fa Ppr) della famiglia Pinault, 10 miliardi di fatturato con i marchi italiani Gucci, Bottega Venera, Pomellato, Dodo e le scarpe Sergio Rossi.
Il marchio Massimo Dutti è spagnolo e non è mai stato italiano: è un nome fittizio. Ma la Spagna è entrata in Italia dalla porta principale solo nelle ultime settimane, con la guerra per il controllo del nostro gigante Telecom/Tim, ex Sip.
Da trent’anni ormai i frigoriferi e gli altri elettrodomestici Rex, Zoppas e Zanussi fanno parte del gruppo svedese Electrolux, dopo che la famiglia pordenonese Zanussi si ritirò.
I tedeschi, invece, hanno una predilezione per i nostri motori: il gruppo Volkswagen (che controlla anche Audi, Seat, Skoda, Bentley, Porsche e Giugiaro) nel 1998 ha acquisito la Lamborghini, che per quattro anni era passata alla Chrysler. E le moto Ducati di Bologna due anni fa sono finite anch’esse al gruppo VW.
Le moto Benelli di Pesaro, invece, dal 2005 sono cinesi. Nel calcio, due squadre non sono più di proprietà italiana: l’Inter, del miliardario indonesiano Erick Thohir, e la Roma, ormai statunitense. Negli Usa è finita anche la casa editrice un tempo nota come Rusconi, passata dalla francese Hachette alla Hearst.
Mauro Suttora