Anna Tarquini, l’Unità 7/2/2014, 7 febbraio 2014
CANNABIS LEGALE, VENDERLA È UN AFFARE DA 2 MILIARDI
Forse non è un caso se una delle più grandi bufale del web che è tornata a girare negli ultimi giorni è la messa in produzione delle Marlboro M, lì dove M sta per marijuana purissima. Se il business diventa più reale, niente di più probabile che la più grande multinazionale del tabacco pensi ad investire. Non è così, anche se molti ci sono cascati. Però non è notizia inverosimile per il futuro.
La marijuana «libera» è il business di prossimi anni. La sua legalizzazione ai fini terapeutici e non in 21 Stati americani per non parlare dell’America Latina e di alcuni Paesi europei produce un effetto a cascata che rischia di tenere fuori l’Italia, che pure potenzialmente sarebbe tra i Paesi più indicati alla coltivazione per qualità di terreno, dall’affare del secolo. Il mercato solo ad oggi è stato valutato in 2,34 miliardi di dollari, con una crescita esponenziale per il futuro. Parliamo dell’Italia, e per inciso, solo perché proprio in questa corsa all’«oro verde» c’è chi si è ricordato di noi. Siamo tra i maggiori produttori di canapa da fibra, le caratteristiche ambientali sono perfette per la coltivazione delle cannabinacee e l’istituto di Rovigo gestito dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e che produce sei varietà di cannabis, ha ricevuto richieste per le varietà da Colorado Arizona, California e Uruguay. Niente da fare però. La nostra legge lo vieta. E anche se il direttore dell’Istituto Gianpaolo Grassi assicura che la loro produzione di marijuana coprirebbe il fabbisogno medico di tutto il Paese a metà del costo a carico delle sanità territoriali che oggi, quando hanno i fondi, spendo 500 euro al mese a paziente per importare il farmaco, non c’è modo di avviare la produzione.
Gli americani stanno un passo avanti. Non parliamo dei coffee-shop ma degli investitori che da un pezzo hanno intuito l’onda antriproibizionista e si sono adeguati. Le stime parlano di un mercato da sei miliardi entro il 2018 e Wall Street si è messa al lavoro. La rivista finanziaria Fortune già ne parlava nel marzo dello scorso anno dedicandogli copertina e storie. Prima fra le storie quella di Jason Levin, ingegnere di Berkeley che ha riunito un gruppo di investitori per produrre un vaporizzatore portatile palmare per fumare la cannabis e che ora farà fortuna. Costo sul mercato, circa 300 dollari. Steve DeAngelo, cofondatore di ArcView una società di imprenditori costituita nel 2010 e che puntava sulla liberalizzazione della marijuana. Ha fondato Harborside Health Center, il più grande dispensario di marijuana medica nel mondo, fatturato annuo 30 milioni di dollari. Cercate su Google la sua foto e vi troverete l’immagine di un sessantenne hippy, con cappello, orecchini e treccine stile sioux. Antiproibizionista con una storia lunga quarant’anni ed evidentemente tutt’altro che stupido a Fortune diceva: «La realtà è che stiamo assistendo alla nascita di una nuova industria». Aprite ora la pagina del Gruppo ArcView e leggete: «Prevediamo per il 2104 una crescita del 64% dei mercati per la cannabis legale. Il business è il più importante mezzo per i cambiamenti politici e che lo sviluppo dell’industria della cannabis responsabile, remunerativa e politicamente corretta sarà il fattore più importante nell’affrettare il giorno in cui non un solo adulto nel mondo sarà punito per questa pianta».
Jamen Shively è un ex manager Microsoft. Ha fondato il primo marchio di vendita al dettaglio di cannabis in America che si chiama «Diego Pellicer». Intervistato dal Seattle Time ha detto: «Diventeremo più ricchi di Microsoft con questa storia». Shively ha iniziato acquistando distributori automatici di marijuana nello Stato di Washington e in Colorado dove da novembre la cannabis è libera anche per uso ricreativo. Come ci è arrivato? Grazie a un collega programmatore di Microsoft. «Mi disse.. “Guarda Jamen, ho fatto la ricerca. Sono convinto che entro cinque anni la cannabis diventerà legale”. Non era una bugia».
Ecco, si è talmente dentro il business che si agita persino lo spettro di un intervento della Monsanto con la sua rete Ogm. Dal sito «Netl News»: «L’hedge fund Lazarus Investment Partners ha comprato il 15% di AeroGrow International, un’azienda che produce sistemi idroponici che permettono di far crescere le piante senza uso di terra, massimizzando i tempi. Questi strumenti sono ora utilizzati per le colture casalinghe delle verdure, ma il fondo sta preparando una versione più potente che permetta la coltivazione della cannabis. La Terra Tech, che si occupa anch’essa di sistemi idroponici, ha chiesto aiuto a Wall Street per trovare i 2 milioni di dollari necessari per iniziare una coltivazione in grande stile di marijuana nello stato di New Jersey». Gli esperti dicono che la liberalizzazione porterà a un risparmio di dieci miliardi di dollari tolti alla lotta allo spaccio. Con le tasse entreranno invece 67 milioni di dollari. Schizzano alle stelle i titoli legati al business della cannabis con crescite fino al 300%.
Tale è l’ammontare dell’affare che anche l’Inghilterra sta pensando a legalizzare. Una ricerca del Institute for Social and Economic Research dice che il governo potrebbe guadagnare fino a 1,25 miliardi di sterline all’anno: 300 milioni di sterline risparmiati per caccia allo spaccio e relativi processi, gli altri con tasse governative sulla cannabis.