Gabriella Montali, Oggi 6/2/2014, 6 febbraio 2014
HO INCONTRATO I BUONI DI SCAMPÌA
Roma, febbraio
Meticoloso. Tenace. Sensibile. Raro conoscere un attore tanto simile ai personaggi che interpreta. Beppe Fiorello, 44 anni, è stato Salvo D’Acquisto, Joe Petrosino, il medico-santo Giuseppe Moscati. Ora torna con un altro eroe («Ma stavolta il mio alias è vivo!»): è Gianni Maddaloni, protagonista di L’oro di Scampìa (il 10 febbraio in prima serata su Rai 1, diretto da Marco Pontecorvo). È il padre (e allenatore) di Pino, medaglia d’oro di judo alle Olimpiadi di Sydney del 2000. Indomabile, Maddaloni senior tanti anni fa ha fondato lo Star Judo Club, una palestra di frontiera.
Lo ha fatto nel Far West di Scampìa, il quartiere più difficile di Napoli. Quello di Gomorra e delle faide tra clan per il controllo del mercato della droga. Grazie ai valori di sport e legalità, ha salvato tanti giovani destinati all’arruolamento nelle file della camorra. Che gli saranno sempre grati. È rimasto a Scampìa, Maddaloni. Anche dopo il trionfo del figlio. E le allettanti proposte da ogni dove. L’oro, quello vero, l’ha trovato tra la sua gente difficile.
Fiorello, è così?
«È così. L’oro di Scampìa può diventare “loro di Scampìa”. Basta togliere un apostrofo. Ma in quell’apostrofo c’è la differenza. E la speranza di tante persone meravigliose. Le molte brave persone (ma di cui non parla nessuno) che ho conosciuto a Scampìa mentre giravo. Meritano di essere descritte con onestà. “Fiorello, mi raccomando: raccontaci bene”, mi ha detto una signora, d’impeto, mentre mi prendeva per un braccio. Fu un giorno che arrivai sul set un po’ in ritardo. La forza di quella donna mi emozionò e presi sul serio le sue parole. Essere ligi alle regole è difficile, a Scampìa lo è di più. Ci vuole fegato per rispettare i valori della legalità nel quartiere dominato dalla malavita, e dove già da bambino i pusher ti pagano per fare la “vedetta” (quelli che avvisano quando arrivano i poliziotti ndr)».
Accade dietro al portone di tante «vele»...
«Ma nelle Vele (i casermoni di Scampìa, dalla caratteristica forma triangolare, ndr) vivono anche tanti “invisibili” dal cuore d’oro. Sono gli anonimi eroi della vita quotidiana, quelli che nel degrado (e in silenzio) in barba a tutto vanno a scuola, al lavoro facendosi largo tra intonaci che cadono e l’infinita sporcizia di quelle scale opprimenti. Le salivo più volte, ogni giorno, prima di raggiungere il set allestito in un opaco appartamento che raggiungevo con i poliziotti di una volante».
Che cosa vedeva?
«I buoni di Scampìa che mi guardavano in silenzio, mi osservavano. Nel loro sguardo c’erano mille aspettative, tanta voglia di una vita diversa, di uscire dall’isolamento della loro condizione, di ritrovare la libertà oltre il cemento di quei pianerottoli abbandonati dal mondo dove i prepotenti sono una minaccia costante. Sei solo, lo impari presto. I buoni di Scampìa ti insegnano la dignità. Mi hanno voluto bene ed evo loro moltissimo. Non dimentico pastiera e frittata di maccheroni, la mattina, insieme con il caffè».
Nel ruolo di Maddaloni senior lei si è «immerso». In cosa le assomiglia di più?
«Come me, Gianni è antipatico. Nel senso che è meticoloso, non lascia niente al caso. Come allenatore è un duro: in Gianni, tanti minorenni con il padre in galera hanno visto l’adulto autorevole. Grazie allo sport riprendono fiducia nelle istituzioni».
È diventato un judoka?
«In caso di necessità, diciamo che so difendermi. Mi sono allenato tanto, prima di affrontare il personaggio di Maddaloni...»