Serena Danna, la Repubblica 7/2/2014, 7 febbraio 2014
FABIO VOLO
Ci sono tre figure-chiave nella rappresentazione classica di Fabio Volo: il pane, l’infedeltà e il successo in libreria. Per gli italiani Volo è un ex panettiere bresciano, allergico alla monogamia, che è riuscito a vendere 7 milioni di libri in un Paese che legge poco. Da quando, a 19 anni, ha lasciato il forno di Carugate per il mondo dello spettacolo, gli è venuto bene quasi tutto: la radio, la televisione, il cinema, e — naturalmente — i romanzi.
Descrive la sua vita come un elenco di obiettivi da raggiungere, in cui ogni dettaglio — solitudine compresa — è stato studiato: «Ero in guerra — racconta al tavoli di un bar milanese —, e in guerra devi stare da solo: mica Ulisse si porta dietro Penelope?». La guerra è finita. Volo, 42 anni, è diventato padre (di Sebastian, 3 mesi) e dal 2011 fa coppia fissa con Johanna Maggy, un’insegnante di pilates islandese conosciuta a New York. «La vita è fatta di stagioni — spiega sorseggiando caffè americano —, visto che ho realizzato i miei obiettivi posso lavorare meno e dedicare il tempo ad altro».
La donna giusta
Il pensiero di non trovare la donna giusta non l’ha neanche sfiorato: «Quello che desideri arriva sempre. Posso dire che non mi è mai capitato di volere qualcosa e non ottenerla». Neanche essere padre lo spaventa: «È in natura, appena ti mettono in braccio tuo figlio senti che è il suo posto». Discorso diverso per la compagna: «La mia preoccupazione è rivolta al rapporto con lei: magari un giorno non la amerò più, oppure sarà lei a smettere di volermi. Amo Sebastian come se ci fosse da sempre, con Johanna si tratta di educazione sentimentale». Dice che non è stata una scelta: «Mi piaceva, stavamo insieme senza fatica. A un certo punto ho cominciato a pensare alla mia vita con lei e senza di lei e sicuramente preferivo la prima. La amo, non so quanto durerà ma per il momento è così».
Come succede che, all’improvviso, a 39 anni, si comincia a pensare per due? «Ho smesso di dedicare tutta l’attenzione al mio ombelico: sono uscito da me stesso, e così mi sono aperto all’altro».
Mentre Sebastian nasceva, in Italia si inaugurava una stagione editoriale dedicata alla paternità. L’ultimo romanzo di Volo La Strada verso casa si è conteso il primo posto in classifica con Gli sdraiati di Michele Serra, dove gli sdraiati — che stanno per svogliati, pigri, inetti — sono quelli della generazione del figlio di Serra (a cui è rivolto il romanzo). Volo non l’ha letto ma è convinto di una cosa: «I contadini mi hanno insegnato che se il frutto non va bene, il problema è della pianta. La critica al frutto fatta dalla pianta fa ridere».
L’autore del Volo del mattino azzarda che dietro la scelta di starsene sul divano a giocare alla playstation ci sia una presa di coscienza: «Forse i giovani hanno finalmente capito di essere vittime di una truffa. Se mio figlio mi dicesse “Ho trovato un lavoro, 6 giorni su 7, 8 ore al giorno per 1200 euro al mese”, io dovrei essere contento? E lui dovrebbe essere contento? Onestamente non capisco perché accettarlo e magari andare a vivere in un appartamento a 40 km dalla città, fare ogni giorno due ore di auto. Piuttosto che farsi prendere in giro, meglio il divano!». Che poi è il concetto di «cameretta» a essere cambiato: «Quando ero ragazzo ti chiudevi in stanza e il mondo restava fuori, oggi dal letto chatti con uno di Singapore».
In lotta con il padre
Anche Volo è stato un figlio irrequieto, in conflitto con un padre che gli aveva insegnato il mestiere e, «alla bresciana», diceva solo «si fa come dico io». Quel rapporto l’ha condizionato a lungo: «Litigavo con tutti in ufficio perché dovevo superare il conflitto con lui. Ho trasformato in mio padre tutte le persone con cui lavoravo: Davide Parente delle Iene , Linus a Radio Deejay e così via. Volevo fare le cose come dicevo io, fare la differenza, non essere la loro versione “ringiovanita”». Cinque anni fa ha risolto le tensioni con il papà, che oggi, malato, stenta a riconoscere il figlio. «A volte lo guardo e mi chiedo se ne è valsa la pena sbattersi tutta la vita, fare mille sacrifici per ripagare i debiti alle banche, per essere onesto con quelli che lo derubavano».
C’è un film che secondo Volo rappresenta il paradosso sociale che unisce padri e figli: In nome del popolo italiano . Racconta di un imprenditore disonesto (interpretato da Vittorio Gassman) perseguitato da un giudice (Ugo Tognazzi) per l’unico crimine non commesso: «Il magistrato vuole fargliela pagare — racconta Volo — ed è convinto di farlo “in nome del popolo italiano”». La scena finale una piazza piena di gente in festa perché l’Italia ha vinto ai mondiali contro l’Inghilterra: «Tu pensi di fare le cose per migliorare il mondo, ma poi agli italiani interessa solo che l’Italia faccia gol».
Volo non è mai stato testimonial di aziende: «Ho sempre pensato fosse sbagliato ma poi mi chiedo “per chi lo sto facendo?”. Alla fine la gente ama quelli che fanno pubblicità». La morale collettiva non esiste: «Le scelte dipendono solo da te». Non vale la pena di fare battaglie: «Una volta mi arrabbiavo se non volevano passare in radio il disco scelto da me, oggi trovo un compromesso. Mi interessa meno avere ragione, forse sono cresciuto».
L’America e l’Italia
A fine mese tornerà a New York per presentare due romanzi agli americani. «Il mercato in lingua inglese è stimolante — dichiara — ma sono pronto a fare altro. Non ho il fuoco sacro: mi piace raccontare eppure posso ricostruire le emozioni che provo quando scrivo libri in lavori diversi. Se non hai certe velleità, lavorare nella cucina di un ristorante è come fare la radio».
Di certo nel suo futuro c’è una webserie scritta, interpretata e diretta da lui (Volo è un grande appassionato di serie televisive americane) e, probabilmente, un trasferimento negli Stati Uniti: «Il cambiamento in Italia è solo di forma. La nuova generazione, in politica come in televisione, viene inglobata dalla vecchia: Renzi rappresenta la novità ma in realtà è già vecchio, proprio come la tv che scimmiotta prodotti e meccanismi del passato». E l’Italia? «Come la famiglia d’origine: la ami con tutti i difetti». Il problema però nasce se la tua compagna è straniera: «Il nostro Paese è per gli italiani: non possiamo andare al cinema, le persone parlano poco inglese, per non dire quanto è difficile trovare un lavoro».
Gli «hater»
Volo ha vissuto la vertigine di chi è passato dall’amore universale dei fan agli attacchi personali e all’odio via social network: «Il punto di svolta sono stati i libri: realizzare che le persone comprano i miei romanzi li ha mandati fuori di testa. Ultimamente qualcuno ha cominciato a scrivere bene di me, ma in generale i giornalisti e gli “intellettuali” mi odiano. Non è un problema, più scrivono male di me, più vendo». Lo stesso trattamento è rivolto ai suoi hater su Twitter. Volo adora provocarli: «Sono così prevedibili. So già che se pubblico una foto con Chomsky o faccio una battuta su un premio letterario, stanno a parlarne per tre giorni». Le critiche non lo infastidiscono più: «Non stanno parlando veramente di me, sono solo un nome sulla scatola, è la loro battaglia... Io sono solo l’espediente per fargli tirare fuori l’infelicità».