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 2014  febbraio 07 Venerdì calendario

BUCA CAPITALE, VIAGGIO CHOC NELLE STRADE FERITE DI ROMA


Roma, ovvero le buche con la città intorno. È questo il degrado? Sì. Ed è rappresentato questo degrado, nella sua fisica e metafisica, dai fossi, dalle voragini, dai pozzi marroni (per il fango) o giallognoli (per le foglie imputridite che contengono) che in questi giorni di pioggia, ma anche prima, hanno fatto dell’Urbe la città porosa per eccellenza. Guardi una buca, tanto ormai si vedono solo buche, e non puoi che chiedere alla tua bella con cui giri in motorino: «Amo’, ’ndo vuoi casca’?».
Si può scegliere l’éra geologica, tra quelle della Seconda Repubblica, della buca in cui finire. C’è quella appartenente al primo mandato di Rutelli - la buca giubilea - o quella scavata dalle intemperie durante il bis di Francesco.
E poi c’è la buca Veltroni I e la buca Veltroni II, la buca della parentesi alemannea (la famosa buca Gianni) e soprattutto quella, quelle, tante, targate Marino (ormai Sottomarino). Anzi, la buca marina. C’è anche questa.
UNO SPECCHIO DI MARE
È spuntata due giorni fa a via Canina, al Flaminio, sotto il palazzo del Tar. Ha la forma della Sardegna e vanta una particolarità quasi assoluta: sembra contenere uno specchio di mare limpido e non il solito terriccio misto a briciole di asfalto. E’ una buca cristallina (spunterà la barriera corallina al suo interno?) al contrario delle altre che sono torbide e limacciose come il Tevere o come un caffè fatto male.
E ieri mattina un passante lungo via Canina ha fatto un gesto bellissimo, in mezzo al traffico impazzito per colpa della voragine (transennata probabilmente per i prossimi due secoli e munita di un lampeggiante che non lampeggia). Il tizio ha visto una cartaccia che galleggiava in questo specchio d’acqua pura, l’ha raccolta e buttata via. Sacramentando contro chi maltratta la Grande Bellezza. A proposito del film di Paolo Sorrentino, ambientare un trenino («I nostri trenini sono i più belli di Roma perchè non vanno da nessuna parte», dice il protagonista Jep Gambardella) dentro queste voragini («A far l’amore comincia tu?») e non più sulle terrazze intorno al Colosseo sarebbe l’idea migliore, e senz’altro la più neorealistica, per un sequel di questo capolavoro da Oscar. Così il mondo conoscerebbe l’Urbe com’è, anzi com’è diventata.
LA LUISONA
Il simbolo del degrado può essere a forma allungata: ovvero la buca magra e profonda e chi ne risale vivo può gridare ai quattro venti: «Ho visto la luna nel pozzo!». O può essere largo, rappresentato cioè dalla buca grassa come la Luisona, quella pasta gigante, orribile e invecchiata, di cui parla Stefano Benni in Bar sport. E non c’è strada ormai che non abbia la sua Luisona inamovibile e perenne o la sua buca a trincea - siamo pur sempre nel centenario della prima guerra mondiale - che è fatta così: stretta come un tunnel e dentro ci si può trovare di tutto, pezzi di ammortizzatori e resti alimentari, cicche a mascelle, fiori appassiti (qui cadde la buonanima....) ed echi di parolacce rivolte al Campidoglio.
LE GAG DI BATTISTA
Intanto su Twitter si scatena la gara delle metafore. Ma forse sono tutte al di sotto della tristezza del reale. @fabriziofissi: «Non ci sono buche a Roma ma solo crateri vulcanici». @5due69: «Chi parla di buco al bilancio o alla sanità ha mai visto le buche di Roma dopo dieci giorni di pioggia? Loculi a ciel sereno». O ancora: Roma è un pezzo di groviera. Ma occhio allo strepitoso show di Maurizio Battista, che spopola sul web. «Io so’ de Roma - dice - e qui so’ tutte buche. Ogni tanto, quando c’è un pezzo piatto, me rompe li coglioni». Altra gag: «Le buche non nascono spontaneamente. C’è una ditta che dice: oggi come siamo messi? Annamo a fa’ cinque buche sull’Anagnina, me rinforzi quella sulla Tiburtina, Tuscolana sta bene come sta». E ancora: «Due buche, un tombino e uno sportello. Ma se me butto per terra da solo, vale come ’na buca?».
COME A GOLF
L’altra sera (prima che la riempissero, una volta su mille succede) la buca che accoglie i visitatori fuori dal cinema Mignon, a via Viterbo, ha ospitato una signora quarantenne. Ahhhh, si sente il suo grido e finisce in buca come una pallina da golf. Si sloga una gamba. Si avvicinano i soccorritori e dicono: «Chiamiamo l’ambulanza, facciamo la foto alla buca e denunciamo il Comune». E qui sembra di stare di nuovo nello show del comico Battista: «Se uno nun c’ha ’na buca, sai che fa? Chiama er Comune: me fai ’na buca, ce l’hanno tutti!».
CON ROTAIA E CON TOMBINO
Ma non sono tutte uguali le buche di Roma città porosa e basterebbe poco per curare la sua pelle. La buca con rotaia, che accarezza i binari del tram, ha una sua campionessa all’angolo tra via Rossini e via Mercadante. Non ci si può vantare di essere un vespista dei Parioli o del Pinciano, se non si può raccontare in slang: «Io so’ ito lungo lì dentro». La buca a oceano indiano, immensa e solcata da onde che in certi casi sono cavalloni, è più tipica in periferia. La buca-tombino è trasversale e interclassista ma in fondo è la meno rischiosa: sai dove comincia e sai dove finisce. Non sempre, però.
La buca coperta di foglie è la più insidiosa, è la buca ingannatrice: non la vedi, e sei già in fondo. Però, è preferibile atterrare sulla fauna bagnata piuttosto che sulle pietre. Che possono essere di due tipi: pietre nere d’asfalto sbriciolato (diventi a pois quando s’infilano sotto la pelle) o, più raramente, pietre bianche. Una buca del secondo tipo - la buca Itaca o buca Zante, perchè somiglia a una candida e sassosa spiaggetta greca - è spuntata a Piazzale Paolina Borghese, a due passi dalla Galleria nazionale d’arte moderna. Sta proprio di fronte alla statua del poeta arabo Ahmed Shawky (1862-1932). Il quale guarda perplesso i capitomboli sottostanti delle vecchiette a passeggio. Ci sono le buche ad acqua ferma e ad acqua bulicante, e quest’ultime nascono dal doppio effetto dell’asfalto che si buca e che buca a sua volte i tubi che passano sotto. Ed evviva le terme!
GRATTUGIA E OSSOBUCO
Al Trieste-Salario, va molto la buca a culla: un dolce avvallamento in cui ci si può accoccolare, tornando poppanti. La buca a grattugia - tante buchette minime uno dopo l’altra - predilige le grandi vie di scorrimento: la Tiburtina è lo showroom di questa specificità che ai viandanti produce il delirium tremens. Ma forse, tra tutte, la buca più gustosa e quella a ossobuco. Un esemplare è rintracciabile all’inizio di via Crispi. Una larga cornice, vuota al centro, ma guarnita nel mezzo con un laghetto di prelibata fanghiglia (chi ci è caduto dentro ha avuto modo di assaggiarla). Sembra l’ossobuco, con salsa, che si gusta per esempio al ristorante El Matarel, specialista di questa pietanza. Ma lì stiamo a Milano. L’ossobuco di Roma è indigeribile come l’immagine a cui questa città è stata ridotta. E non soltanto per colpa delle pioggia troppo abbondante.