Vittorio Malagutti, L’Espresso 7/2/2014, 7 febbraio 2014
AGNELLI D’OLANDA
I dettagli sono importanti. Un semplice particolare spesso illumina una situazione più di mille parole. E allora, per capire il destino e le strategie della Fiat bisogna partire da un luogo, da un nome. Basildon è una cittadina 70 chilometri a est di Londra, poco distante dal mare e dalla foce del Tamigi. Un posto come tanti, da quelle parti: capannoni, uffici e centri commerciali nella grande periferia della capitale inglese. Niente a che fare con Torino, con le mura del Lingotto, con la storica fabbrica, e poi quartier generale, di quella che fu l’azienda simbolo del nostro sistema Paese. Ebbene, pochi ci hanno fatto caso, ma qualche mese fa un pezzo importante di Fiat ha fatto i bagagli e si è trasferito in quell’anonimo angolo dell’Essex, noto più che altro ai fanatici del rock perché da lì, 35 anni fa, partì la trionfale carriera dei Depeche Mode.
Niente musica, questa volta. Solo finanza, alta finanza. Secondo quanto confermano i documenti societari, dal settembre scorso a Basildon si trova il "principal office" delle attività di produzione di camion, trattori e macchine industriali un tempo sotto l’ombrello di Fiat industrial. Adesso però la holding si chiama Cnh industrial, ha sede legale in Olanda, è quotata a Wall Street e grazie al trasloco nell’Essex paga le tasse in Gran Bretagna. La rivoluzione col marchio Cnh, che consiste nella fusione delle attività statunitensi con quelle europee, ha fatto da apripista a quella, del tutto identica, che pochi giorni fa ha portato alla nascita di Fca, cioè il supergruppo che unisce Fiat alla controllata americana Chrysler.
Ancora non è chiaro dove si troverà esattamente il "principal office" inglese del nuovo colosso dell’auto. Il risultato però non cambia. Alla fine la sede sarà olandese e il fisco britannico. L’Essex, e in generale la Gran Bretagna, dista da Torino 1.200 chilometri e parecchi milioni di tasse in meno. Ma il risparmio sotto forma di imposte, peraltro ancora difficile da quantificare, finisce per diventare un aspetto tutto sommato secondario di quella che è stata descritta, a ragione, come una svolta storica. Solo nei prossimi anni si capirà se la nuova azienda globale pensata e gestita da Sergio Marchionne riuscirà davvero a risalire la corrente. Fin d’ora però si può dire che il ribaltone alla Fiat offre un’occasione d’oro agli Agnelli per consolidare il loro potere, la loro presa sul gruppo. Tutto questo per merito del trasloco ad Amsterdam e della legislazione olandese, che prevede espressamente le azioni con voto multiplo.
Non per niente, nella sua intervista al quotidiano (di famiglia) "La Stampa", il presidente di Fiat, John Elkann ha dichiarato che «con Fca si aprono prospettive che non potevamo nemmeno immaginare». A breve termine infatti, se sono giuste le previsioni degli analisti, la nuova Fiat-Chrysler avrà bisogno di nuove risorse finanziarie. E la famiglia di Torino potrà fare la sua parte risparmiando centinaia di milioni e senza timore di perdere il controllo. In sostanza, le azioni controllate da Exor, la holding degli Agnelli quotata in Borsa, valgono uno ma in assemblea votano per due, o quasi. La possibilità di emettere azioni con voto multiplo è espressamente prevista dal codice olandese. Ecco spiegata, allora, la scelta di trasferire da Torino ad Amsterdam la sede legale delle due holding, quella per le attività nei camion e nelle macchine industriali, costituita a fine settembre, e l’altra appena annunciata per le auto. Tradotto in cifre significa che Exor possiede il 27,2 per cento del capitale di Cnh industrial, ma può esercitare diritti di voto per una quota molto superiore, pari per la precisione al 40,25 per cento. Com’è possibile? La complicata operazione che ha portato alla nascita della nuova holding Cnh industrial prevedeva anche l’emissione di titoli speciali destinati ai vecchi azionisti delle due società che andavano a fondersi: Fiat industrial e la controllata Cnh global.
A conti fatti si scopre che sono state collocate 474 mila azioni con poteri di voto rafforzati ed Exor ne ha ricevute all’incirca i tre quarti, cioè 366 mila. Ecco perché la holding degli Agnelli peserà per oltre il 40 per cento del totale nelle prossime assemblee. A questa quota va poi aggiunto un altro 3 per cento che si trova in portafoglio alla consociata Fiat, la parte automobilistica.
Lo stesso identico schema verrà replicato per la nuova Fca. L’iter che porterà alla fusione dell’azienda di Torino con la controllata Chrysler è soltanto ai primi passi. E per il momento non si conoscono le caratteristiche esatte delle nuove azioni speciali che verranno emesse. A fine anno, però, quando la complessa operazione verrà completata, gli Agnelli potrebbero disporre di diritti di voto per una quota ben superiore al 50 per cento, mentre la loro partecipazione al capitale della holding Fca dovrebbe restare invariata all’attuale 30 per cento circa.
I vantaggi del nuovo assetto sono evidenti. Forte della maggioranza assoluta, in assemblea, la famiglia torinese potrebbe quindi mettersi al riparo da eventuali, per quanto improbabili, scalate ostili. D’altra parte un pacchetto di azioni potrebbe essere utilizzato come merce di scambio per ipotetiche alleanze strategiche con altri gruppi. Tutto questo senza ridurre troppo la quota di capitale che resterebbe in portafoglio a Exor una volta siglata l’intesa con il nuovo partner. Del resto la possibilità di una fusione tra Fiat e un altro concorrente con l’obiettivo di unire le forze su un mercato dominato da giganti come Toyota, Volkswagen e General Motors è stata più volte ipotizzata dagli analisti. E ancora nei mesi scorsi sono circolate voci di possibili nozze con la francese Peugeot. Altri invece scommettono sull’alleanza con un produttore cinese per sbarcare in forze su un mercato dove Fiat, a differenza degli altri maggiori gruppi internazionali, è praticamente assente.
Solo indiscrezioni, per il momento. Semplici scenari di mercato. Ben più concreta appare l’eventualità che gli Agnelli siano presto chiamati a contribuire a un aumento di capitale dell’azienda automobilistica. L’unione con Chrysler, finanziata in parte con la liquidità in cassa alla stessa casa americana, darà vita a un gruppo con un indebitamento maggiore rispetto alla media dei concorrenti. Inoltre Marchionne ha dichiarato di voler rilanciare le attività italiane puntando sul segmento cosiddetto "premium", la fascia più alta di mercato su cui può spendere marchi come Maserati, Jeep e, si spera, anche Alfa Romeo, di cui il manager italocanadese va promettendo da anni il rilancio.
Riportare l’Alfa in alto, però, costa miliardi. E gli analisti scommettono che nei prossimi mesi Fiat dovrà batter cassa tra i propri azionisti per finanziare i nuovi investimenti senza chiedere altri soldi alle banche. Ebbene, grazie alla rete di sicurezza delle azioni con voto multiplo, gli Agnelli potranno contribuire all’aumento di capitale anche in misura inferiore al loro 30 per cento, senza che per questo si diluisca troppo la quota di famiglia nel capitale del gruppo automobilistico. Un bel vantaggio per John Elkann e i parenti tutti, che nel frattempo, però, dovranno fare a meno del dividendo. Come già nel 2013, anche quest’anno Fiat non staccherà la cedola per i propri azionisti. Le risorse vanno tenute in casa per rafforzare il patrimonio.
Poco male, per gli Agnelli. La loro Exor si avvia a presentare un bilancio da record. Nel giugno scorso la vendita della partecipazione nell’azienda svizzera Sgs ha fruttato oltre 2 miliardi d’incasso, con 1,5 miliardi di profitti. Una montagna di soldi, che almeno in parte, verrà distribuita ai soci. A cominciare, ovviamente, dalla famiglia torinese, che - sostiene Elkann nella sua intervista a "La Stampa" - è «convinta e compatta» a sostegno di Sergio Marchionne e delle sue strategie. Certo è che quei 2 miliardi e passa nelle casse di Exor aiutano non poco a guardare al futuro con una certa serenità. La speranza è che, col tempo, anche la nuova holding Fca sia in grado di distribuire dividendi.
Il trasloco in Gran Bretagna di certo aiuta anche dal punto di vista dei conti. «Negli ultimi anni», spiega Fabrizio Capponi, partner dello studio legale internazionale Dla Piper, «il governo di Londra ha varato una serie di incentivi fiscali con l’obiettivo di attrarre gli investimenti delle multinazionali straniere». Non fabbriche, ma uffici, centri ricerca, filiali commerciali. E, sempre più spesso, anche le funzioni di holding, il quartier generale. La corporate tax, cioè l’imposta sui profitti societari, è ridotta al 20 per cento, i dividendi incassati dalle controllate sono quasi esentasse, ricerca e sviluppo sono detassati e incentivati. «Tutto questo contribuisce a creare un ambiente favorevole all’insediamento delle grandi imprese», spiega Capponi.
Da ultima si è mossa anche la Fiat. Basildon, dove è stato trasferito il "principal office" di Cnh, fino a poco tempo fa ospitava solo alcune società minori del gruppo. Adesso invece la cittadina dell’Essex è diventata il domicilio fiscale di una neonata holding che ha invece l’Olanda per sede legale. Dal Lingotto all’Inghilterra via Amsterdam. Questo l’itinerario scelto da Marchionne per creare un gruppo che proietta di sé un’immagine sempre più internazionale, il più lontano possibile dalla sua terra d’origine. Il discorso vale per Cnh e vale, a maggior ragione, per Fca, il gruppo automobilistico che ormai viaggia a trazione americana, con i profitti che arrivano tutti da Detroit, dalla Chrysler.
«Abbiamo chiuso una saga iniziata nel 2009 (con lo sbarco negli Usa, ndr) e creato un costruttore globale», ha annunciato Marchionne il 29 gennaio, presentando il nuovo assetto del gruppo. «In Italia però tutto resta come prima», si sono poi affrettati a spiegare dal Lingotto. Nessuna fuga. Nessuna chiusura. Si vedrà. Intanto chi per caso visitasse il sito Internet di Cnh global alla ricerca dell’ultima relazione trimestrale scoprirà che il gruppo adesso pubblica i documenti contabili solo in lingua inglese. A fine settembre la vecchia Fiat industrial è stata cancellata. Insieme alla lingua italiana. È la globalizzazione, bellezza. del resto ora è Wall Street, e non Milano, la piazza principale di quotazione. Mentre Basildon ha preso il posto del Lingotto come quartier generale.
Viva l’Inghilterra, allora. E anche l’Olanda. La terra dei tulipani. E delle azioni con voto multiplo, tanto care alla famiglia Agnelli.