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 2014  febbraio 07 Venerdì calendario

CACCIATORE DI TESORI PERDUTI


È una mattina d’ottobre del 2007. Un funzionario dello Stato italiano entra con i carabinieri in un magazzino di Londra. Non cercano armi, né droga. Dentro scatole e cartoni sono nascosti migliaia di tesori rubati alla storia: busti, sculture, vasi, frontoni, capitelli, sarcofagi, bronzi. Testimonianze dirette della Magna Grecia, delle abitudini degli Etruschi, del genio dei nostri antenati, strappate illegalmente dalle campagne del Sud. È la collezione di uno dei più controversi mercanti d’arte del ventesimo secolo, Robin Symes, famoso per i suoi rapporti diretti con i peggiori trafficanti di antichità come con il massimo del jet-set internazionale. Che proprio in questi giorni alimenta un contenzioso internazionale, con gli italiani che vogliono riportare a casa le opere e Scotland Yard che fa il pesce in barile. A dare la caccia a Symes e al suo tesoro illegale è Maurizio Fiorilli, un avvocato dello Stato ormai vicino alla pensione che dal 1965 rappresenta l’Italia nei tribunali del mondo. È lui, questo signore dall’eleganza retrò, in cappotto grigio, Borsalino, gilet e sigillo d’oro al mignolo destro, il leader dei "Monuments Men" italiani. È lui il George Clooney nazionale, l’alfiere di una squadra che da decenni combatte la stessa battaglia portata ora in scena dalle star di Hollywood: quella di salvare i capolavori trafugati. E riportarli a casa: negli ultimi dieci anni Fiorilli ne ha recuperati quanto basterebbe per riempire più di un museo.
I nostri "Monuments Men" sono nati attorno a una meraviglia rubata. È il ratto di Europa, la principessa rapita da Zeus sotto le spoglie di un toro. La loro fuga d’amore è dipinta su una ceramica di duemila e trecento anni fa, trovata negli anni ‘70 nella campagna di Benevento. È una meraviglia, che porta la firma di una star dell’epoca, Assteas. Lo scavatore di frodo non capisce la rarità di quello che ha fra le mani e vende il cimelio a un antiquario svizzero per un maialino e un milione di lire. Carne e dobloni. Nel 1981 il Getty Museum di Malibù se lo aggiudica per 380 mila dollari, quasi venti volte il primo prezzo d’acquisto, anche se ancora poco per il prestigio che dà poter sfoggiare il vaso nella sua collezione. Europa resta sulla collina di Malibù fino al 2007. Poi, torna in Italia. Grazie a una legge cambiata e alla squadra messa in piedi da Fiorilli.
L’anno della svolta è il 2004, quando si impone il nuovo codice dei Beni Culturali e a Roma inizia un maxi processo contro tombaroli e trafficanti d’arte. Lo Stato si muove per pretendere la riparazione del doppio danno subito: dai predoni, che violano tombe e sepolcri rompendo in frammenti anche opere rimaste integre per millenni, rendendo impossibile ogni ricerca scientifica. E poi dai musei internazionali, disposti a pagare milioni i doni del passato, senza curarsi della loro provenienza, arricchendo così un mercato nero vicino alla malavita organizzata. Per questa sfida nasce una commissione speciale. La guida Fiorilli, e ne fanno parte i carabinieri del nucleo tutela del patrimonio artistico, diretti allora da quel generale Giovanni Nistri ora chiamato a salvare Pompei dalla rovina, poi il segretario generale del ministero, tecnici, funzionari e un manipolo di esperti che studiano migliaia di reperti: per vincere devono ricostruire la loro storia e dimostrare che sono stati sottratti proprio nella penisola, e non a Cipro, in Grecia o Turchia. Cominciando con il ratto di Europa.
L’avvocato, poco avvezzo al computer e alla tecnologia, conserva ancora in ufficio una sua foto, stampata e firmata dai compagni di quell’avventura. «Ci sentivamo un corpo unico. Convinto della necessità di essere professionali, seri e affidabili, altrimenti i musei internazionali non ci avrebbero mai tenuto in considerazione», racconta, insistendo: «Non scriva che le restituzioni sono state merito mio. I nostri successi sono tutti di squadra». E sono il risultato di un paziente e sapiente lavoro di "diplomazia culturale", come la definisce lui. È stata una sfida di dossier, contro-dossier, rapporti, analisi, descrizioni, lunghi carteggi al vetriolo con acquirenti che negavano ogni responsabilità e complicati incontri vis à vis per convincere collezionisti e istituzioni a restituire il maltolto: «I direttori dei musei fanno sempre un discorso di proprietà: è mio, ripetono, è provato, guardi quanto l’ho pagato», spiega Fiorilli: «Noi facciamo invece un discorso di cultura. Quei musei rischiano di essere enormi supermercati di opere "belle", ma completamente decontestualizzate; con le quali non si entra in una cultura, non si arriva a capire una civiltà, come avviene invece quando le testimonianze restano vicine al luogo del ritrovamento. Quei pezzi, esposti in quel modo, non sono altro che cadaveri. Oltre che spesso ambasciatori di furti».
Con queste convinzioni, e queste armi, Fiorilli e la sua commissione hanno inaugurato una stagione di grandi "rientri": dalle stanze climatizzate del Met di New York, del Getty, del Boston Museum of Arts e di altri santuari dell’arte sono tornati in Italia oltre cento capolavori, accompagnati da fotografie, articoli, lodi. E applausi, come per le figlie del mare che trasportavano le armi di Achille, dipinte su un’altra perla di quel periodo di successi: un bacino in marmo che ora si trova al museo civico di Ascoli Satriano, nel foggiano. Dalla metropoli Usa alla sperduta provincia pugliese: molti meno curiosi passeranno a guardarla, adesso, ma, insiste Fiorilli: «Finalmente è nel suo contesto. È anche una questione di educazione, di ri-educazione, degli stessi abitanti. Devono sapere che sono eredi di quella testimonianza. L’idea che abbiamo fatto tanta fatica perché quelle opere tornassero lì dovrebbe impegnare l’opinione pubblica a mantenere vivo l’interesse».
Come Ercole alla fine delle sue fatiche si riposa nel giardino delle Esperidi (altro vaso firmato da Assteas e trafugato a Paestum), così l’avvocato di Stato Maurizio Fiorilli dopo anni di contenziosi è riuscito a celebrare la pace, a stringere accordi, a tenere rapporti amichevoli con le istituzioni americane. Ma ora la sua stagione è al tramonto. E non solo perché lui va in pensione. Nonostante i risultati importanti, la sua squadra è stata trasformata, gli uomini cambiati, è finito il lavoro di gruppo. Di fatto l’obiettivo di riportare in Italia i capolavori trafugati non è più considerato strategico. Sul perché Fiorilli ha un’idea: «Avevamo avuto troppo successo. E troppo alto è il valore delle opere saccheggiate ... Quando si arriva a pagare un vaso un milione di dollari la corruzione è in agguato».
Oggi così ha vinto la burocrazia, tanto grigia e dispettosa da arrivare a mettersi di traverso anche quando un Big americano ammette il suo errore e vuole riparare. È appena successo, in un diverbio fra la sovrintendenza siciliana, il ministero dei Beni Culturali e il Getty di Malibù: il museo si è offerto spontaneamente di restituire una formidabile testa in terracotta del dio degli inferi Ade. Alcuni suoi riccioli, ritrovati in uno scavo clandestino in Sicilia, ne dimostrerebbero infatti l’origine illegale. Così il Getty ha proposto di donarci la divinità. Ma gli è stato risposto di no, per cavilli procedurali: le autorità preferiscono un lungo e costoso processo alla certezza della restituzione.
«E poi c’è l’inerzia», sospira Fiorilli: «E sì che la nostra missione sarebbe tutt’altro che terminata». Negli archivi dei trafficanti italiani e svizzeri sequestrati dalla procura di Roma giacciono infatti ancora migliaia di polaroid, istantanee di pezzi rubati e non ancora ritrovati. «Persino i musei dell’Unione Europea ne sono pieni», continua l’avvocato: «I nostri vicini non ci hanno mai dato retta. La NY Carlsberg Glyptotech di Copenaghen ha un intero carro da battaglia etrusco trafugato alle porte di Roma. Stavamo per concludere l’accordo per portarlo indietro. Ma è stato affossato. E ora non ne parla più nessuno». La missione è stata abbandonata anche dal ministero. Gli occhi di Sarpedonte, l’eroe dipinto da Eufronio in uno dei più celebri rientri di quella stagione, si sono chiusi per sempre. Degli altri guerrieri come lui, ancora lontani dal focolare, poco importa ormai. Fiorilli era riuscito a firmare anche un’intesa con Sotheby’s: la storica casa d’aste si era impegnata a segnalare alle autorità italiane tutti gli oggetti "a rischio" che spuntavano nel suo catalogo. Ma all’ultima richiesta d’informazioni non ha ricevuto alcuna risposta da Roma. E l’accordo è saltato.
L’ultimo duello dell’avvocato - prima di andare in pensione e passare il testimone al collega Lorenzo D’Ascia - sarà quello contro Symes, il mercante londinese. La sua società è fallita, lui scomparso nel nulla, e ora i britannici fanno finta di non aver mai letto il dettagliato dossier inviato da Fiorilli che dimostra la sicura origine italiana delle 700 opere (vasi, bronzi e sculture) scovate nei suoi magazzini in quell’ottobre 2007. «Il danno inflitto allo Stato lo stiamo ancora stimando. Ma parliamo di almeno un miliardo di euro. Se non riprenderanno i negoziati ufficiali saremo costretti a fare causa». Il che significherebbe dover aspettare ancora decenni per riconquistare quei 700 gioielli. Sperando che in Italia a qualcuno importi ancora di loro.