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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

RIFIUTO D’ISCRIVERMI AL PARTITO INVISIBILE

L’articolo 20, comma 2, della nostra Costituzione sancisce il diritto di non partecipare, di far parte ma anche di non far parte di alcuna associazione. Certamente esso nasce, all’indomani della caduta della dittatura, dalla preoccupazione di tutelare il cittadino dai regimi totalitari che lo obbligano ad iscriversi a tutte le organizzazioni possibili del Partito-Stato, a cominciare naturalmente da quest’ultimo; Figli della Lupa, Balilla, Komsomol sovietico, Hitlerjugend e via dicendo. Oggi quel tipo di coercizione non sussiste più, tranne che in pochissimi Paesi; non è obbligatorio iscriversi ai circoli di partito né si paga una penale se non ci si iscrive, penale che comunque, ove fosse prevista, varrebbe la pena di pagare.
Ma quell’articolo della Costituzione è oggi più che mai valido, per tutt’altre ragioni; è uno scudo che protegge da pericoli e aggressioni diverse. Viviamo in una eclatante contraddizione. Da un lato si rivendica, in ogni campo, il valore della diversità, si riconoscono diritti e pari dignità a categorie e a culture prima ignote o conculcate. Dall’altro si impongono, esplicitamente o subliminalmente, comportamenti, gusti, abitudini eguali per tutti e obbligatori per tutti.
Siamo incalzati da un bombardamento incessante che chiede di aderire a tutte le sigle e sette possibili: Acat, Lapet, Aiesec, Fipe, Arci, Fib, Uisp, iscriviti all’Anepla, associati all’Acosma, aderisci alla Fidapa, per ogni sigla c’è un numero di telefono, un email, una richiesta imperiosa R.S.V.P. e se non vi piace rispondete lo stesso, non siamo più nel paradiso terrestre e la vita non è un divertimento bensì un tetro dovere. In tal modo la società contemporanea – che ha creato grandi libertà politiche, economiche e sociali, impensabili in passato – elabora sofisticatissime tagliole che le ledono.
Tutti devono leggere gli stessi libri, discutere gli stessi problemi, partecipare agli stessi eventi. Chi non lo fa, è un asociale che va ricondotto alla norma anche contro la sua volontà, un clochard che viene obbligato a indossare lo smoking. Ne ho avuta esperienza diretta scoprendo di essermi iscritto a Facebook, cosa che non ho fatto né mai avuto intenzione di fare, anche perché non so usare gli strumenti dell’universo digitale, le mie dita sono in tal senso atrofizzate come quelle di un esploratore polare assiderato. Pure quella notizia, cui da solo non avrei potuto accedere, mi è stata comunicata da qualcuno che invece fa parte di quel mondo.
Non ho nulla di cui lamentarmi; non c’è stato alcun uso scorretto di quella falsificazione, nessun cattivo scherzo. Forse chi l’ha fatto pensava di farmi un regalo, come si regala un abbonamento alla stagione lirica. Anche in questo caso, tuttavia, sarebbe bene informarsi se il beneficiario è un amante dell’opera o del rap. Ma credo si sia trattato di un richiamo all’ordine, di un’iscrizione d’ufficio di qualcuno colpevolmente riluttante al dovere di prendere la tessera. Rivendico il diritto alla mia disabilità digitale; i problemi che essa può crearmi nel mio lavoro sono fatti miei, e non ho bisogno di generosi soccorritori simili a quei boyscout della barzelletta che aiutano una vecchietta ad attraversare la strada, anche se la vecchietta non aveva alcuna intenzione di attraversarla.
Bisognerebbe distribuire copie di quell’articolo della Costituzione a tutti, proclamarlo alla tv; ricordare il diritto di non partecipare a convegni, cortei, mozioni, assemblee, iniziative, comitati, gruppi di lavoro, associazioni. Alcune di queste iniziative sono generose e chi vi sacrifica il tempo della sua vita – andare a spasso, chiacchierare, fare l’amore, andare al mare, passeggiare – va ammirato, ma nessuno può essere obbligato a seguire il suo esempio, così come chi ammira la castità di San Luigi Gonzaga non è perciò obbligato a imitarlo. Rispetto i filatelici, ma rivendico il diritto di infischiarmi dei francobolli; è lodevole lo studente che partecipa alle assemblee, ma chi ne approfitta per andare invece a zonzo non può essere criticato né tantomeno costretto a prendervi parte. C’è un Partito Invisibile che vorrebbe far indossare a tutti la stessa camicia, come un tempo la camicia nera, e lo fa in modo subdolo e insidioso. Forse il meccanismo del mondo è essenzialmente un congegno escogitato per impedire alla gente di andare a spasso, così, senza meta, come i cani per le strade di Parigi nel vecchio film di Tati, Mon oncle – un cammino più dignitoso e più libero di ogni marcia.