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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

IL MIO NOME E’ ELKAN MA DA GRANDE FARO’ LA REGISTA


Il nonno, Gianni Agnelli, la coccolava con La signora di Shanghai e i «film di mafia», la mamma Margherita la portava a vedere Lezioni di piano di Jane Campion e qualcuno più ardito, probabilmente papà Alain, a soli sei anni le mostrò Elephant man di David Lynch, il primo film che lei ricorda («Anche perché non avrei dovuto vederlo!»). Con un simile background non sorprenderà che oggi la bella Ginevra Elkann, 34 anni, sorella di Lapo e John, distribuisca, con la sua Good Films, Nymphomaniac, il film scandalo di Lars von Trier che nessuno voleva portare nelle nostre sale. «Come dar loro torto?» sorride Ginevra, presidente fra l’altro della Pinacoteca Giovanni e Marcila Agnelli. «Spaventano la lunghezza, quattro ore, e il tema così disturbante, le fantasie di una ninfomane. In più è una pellicola che avrà problemi con le vendite tv, e va distribuita in due capitoli con un intervallo. Ma è un gran bel film e, sì, ci sono sesso esplicito e scene shock, ma è anche una riflessione profonda su temi come la dipendenza e l’umiliazione, volute e cercate». Un bel colpo, messo a segno velocemente, pare a prezzo contenuto, dall’ex «inquieta adolescente» nata a Londra, cresciuta tra Francia, Brasile, Italia, sposata a Giovanni Gaetani dell’Aquila d’Aragona (nozze a Marrakesh nel 2009), due bellissimi figli, Giacomo e Pietro, e una sorprendente frezza blu nei capelli che si è fatta «per Venezia 2013 dove abbiamo vinto il Leone del Futuro con White shadow, film sugli albini di Tanzania tutt’altro che facile. Per scaramanzia non l’ho più tolta».
La sua società di distribuzione Good Films, che vanta il maggior tasso di bei cognomi, è stata fondata nel 2011 con Francesco Melzi d’Eril, Luigi Musini (oggi produttore in proprio con CinemaUndici del prossimo Olmi e del nuovo film dei Taviani Maraviglioso Boccaccio) e con la partecipazione al 10 per cento della Wìld Side di Mario Gianani e Lorenzo Mieli, figlio di Paolo. Da poco ha fatto irruzione anche Lapo Elkann: «Ci sarà utilissima la sua esperienza di comunicazione e marketing» dice Ginevra «tutti noi fratelli adoriamo il cinema, dopo le sciate a Sankt Moritz vedevamo insieme due o tre film».
Un listino, quello di Good Films, più che mai d’autore e cosmopolita, che s’è aggiudicato il Leone d’oro a Venezia con Pietà di Kim Ki-duk e adesso punta al successo, non solo di stima, con Dallas Buyers Club, candidato all’Oscar, Locke, vincitore morale di Venezia e, appunto, lo scandalo von Trier. Comunque vada, farà rumore. «Alla Good Films abbiamo anime e vite internazionali, ci attirano le storie di margine, di forte contenuto sociale e con grandi performance come lascia quella di Matthew Me Conaughey in Dallas Buyers Club». Sarà un caso, ma gli ultimi film entrati in listino, Don Jon, Dallas, e Nymphomaniac narrano tutti di sesso estremo, mentre il film di Duccio Chiarini Short Skin, in cantiere per Asmara Film, gira attorno a un ragazzino e ai suoi problemi con il pene. Ossessione o provocazione? «Ma quale provocazione? La verità è che questi film puntano l’attenzione su un problema molto diffuso, ma di cui si parla poco: la dipendenza. Quella dal sesso, che tutti i protagonisti pagano pesantemente, e quella dalla droga, dalla pornografia oniine, da Instagram, dagli ansiolitici. Siamo una società addicted». In produzione, un solo film italiano, Cloro, educazione sentimentale abruzzese tra lutti e piscine firmata da Lamberto Sanfelice. Il nostro cinema non la interessa? «No, tanti autori mi piacciono: Sorrentino, Garrone, Alice Rohrwacher, Moretti, Andò, Virzì. Spesso, però, i difetti del cinema sono gli stessi del Paese e l’Italia guarda troppo al proprio ombelico. I giornali, per esempio, hanno pochissimo interesse a ciò che accade fuori dai confini, dai luoghi asfittici della politica nostrana. Allo stesso modo i film mi sembrano spesso ripetitivi, chiusi in sé, poco curiosi del mondo».
Eppure, la giramondo Ginevra ha cominciato proprio in Italia come assistente alla regia di Bertolucci sul set di L’assedio, per poi diplomarsi alla London Film School, con il corto Vado a messa, un sintetico ritratto di famiglia in cui non mancano le assonanze con il clan Agnelli/EIkann. Perché, sì, avrebbe voluto fare la regista, ma per il momento ha scelto «la seconda linea, meno esposizione con più tempo per la famiglia. Sono stata una ragazzina timidissima, ho vissuto attraverso i film standomene tranquilla a casa mia, ho passato la vita a guardare, mi sono abituata. La nonna paterna, Carla Ovazza, mi urlava: “Lascia perdere i vecchi film e esci a giocare come gli altri!” e io, 14 anni: “Ma sto lavorando, non capisci?”». Nel futuro c’è un suo film da regista? «Sì, e racconterà una storia di famiglia, ciò che conosco meglio. La mia, quella d’origine, è molto complessa, ho sentito e vissuto storie fin troppo cinematografiche, ma proprio per questo la amo e le sono grata».