Marco Gorra, Libero 6/2/2014, 6 febbraio 2014
MA IL CASCO BLU STUPRA DI PIÙ
Di tutto si può accusare l’Onu fuorché di non essere del ramo. Quanto ad abusi sessuali su donne e minori (e loro successivo occultamento), infatti, al Palazzo di Vetro non prendono lezioni da nessuno. Per dire, fino al 2003 le Nazioni Unite si sono sistematicamente rifiutare anche solo di riconoscere l’esistenza del problema. E anche dopo essere state costrette a farlo, non è che si siano dannate l’anima per trovare, processare e punire i colpevoli. Basti ricordare che l’Onu resta formalmente impossibilitato a perseguire in proprio i responsabili e deve aspettare che a farlo siano i singoli Stati.
I casi di molestie relativi a dirigenti essendo pochi (ma non inesistenti: una volta beccarono a molestare una sottoposta l’Alto commissario per i rifugiati Ruud Lubbers e dovette intervenire Kofi Annan in persona per provare a silenziare la vicenda), la parte del leone la fanno i Caschi Blu. Timor Est, Cambogia, Congo, Bosnia, Costa D’Avorio, Kosovo, Burundi: la lista di teatri delle operazioni in cui il personale Onu si è macchiato di stupri è lunghissima. Che l’espressione peacekeepers’ babies sia entrata nel lessico comune di questi ed altri Paesi, d’altronde, è considerazione che parla da sé.
VIOLENZE FILMATE
Uno dei casi più celebri è quello della missione umanitaria in Congo (uno dei pochi al termine del quale i responsabili sono stati incriminati), con funzionari Onu accusati di violentare ragazze locali filmando le violenze e rivendendosi le videocassette e bambine attirate con la promessa di una tazza di latte (o di un biscotto, o di un dollaro) e violentate. In Eritrea i soldati delle Nazioni Unite le bambine andavano ad affittarle sugli altipiani per poi andare a stuprarle in albergo (pare col tacito consenso delle autorità militari in carica). Durante le due più recenti missioni ad Haiti (2007 e 2010) i casi di violenza sessuale con personale militare come responsabile sono stati nell’ordine delle migliaia. In Sudafrica c’è mancato poco che tre ufficiali indiani, i quali avevano pensato bene di festeggiare una licenza sequestrando e violentando per tre giorni una ragazza del posto, facessero scoppiare un’incidente diplomatico tra Pretoria e Nuova Delhi.
Elementi del personale Onu di stanza in Liberia, secondo una denuncia di Save the children, obbligavano i bambini a prestazioni sessuali in cambio di cibo, birra o di un giro in automobile. A Sarajevo nemmeno serviva la macchina: per affittare un minore da violentare, ai Caschi blu bastava presentarsi con una tanica di benzina. In Sierra Leone, a carico degli effettivi Onu gravano diverse testimonianze di abusi sessuali, tra cui lo stupro di una dodicenne e una violenza collettiva. In Eritrea i soldati organizzavano festini hard con bambini e ragazzi reclutati sul posto.
IL BRANCO
In Costa d’Avorio dieci peacekeeper sono stati accusati di avere violentato in gruppo una ragazzina di tredici anni. In Mozambico era venuto fuori un giro di prostituzione minorile tra i cui terminali c’erano gli uomini delle forze di pace dell’Onu. In Liberia il territorio di caccia degli stupratori erano i campi profughi, all’interno dei quali si erano andate creando vere e proprie zone adibite a mercato di esseri umani. Nel Darfur, l’arrivo degli uomini delle Nazioni Unite era coinciso con un vertiginoso aumento della popolazione infantile: «Sono uomini e vanno intrattenuti », commentò ad un giornale inglese un magistrato della zona, «ma ad oggi nessun caso è stato denunciato».