Paolo Berizzi, la Repubblica 6/2/2014, 6 febbraio 2014
MIO FIGLIO ERA IN CARCERE DA INNOCENTE SUO FRATELLO È MORTO PERCHÉ VOLEVA GIUSTIZIA
Nessun appello, per ora: né in un senso né nell’altro. Nessun incitamento alla fuga o alla latitanza. Solo lo sfogo di una madre disperata, e un po’ confusa, che dice «ho perso due figli. Uno, Nino, è su un tavolo di marmo all’obitorio; l’altro, Mimmo, comunque andrà a finire questa storia, l’ho perso per colpa di una sentenza ingiusta. E quello che è successo l’altro giorno è frutto di questa sentenza». Maria Antonietta Lantone, 50 anni, da Melicuccà, prima di diventare madre dell’ergastolano in fuga Domenico Cutrì — liberato da un “commando familiare” e fuggito lungo una scia di spari e sangue — è figlia emigrata di un paesino di mille anime incastonato dentro una conca ai piedi dell’Aspromonte reggino. La Maria Antonietta “lombarda”, invece, è madre di famiglia: in casa è l’unica che lavora (è dipendente di una cooperativa che fa assistenza agli anziani: turni di giorno e di notte); e quando al processo per l’omicidio di Trecate si è trattato di coprire il figlio Domenico (“Mimmo”), è stata lei e nessun altro, non il marito Mario, non gli altri due figli, Antonino (“Nino”) e Daniele, a far mettere a verbale un alibi inventato.
Perché si era esposta in questo modo?
«L’ho fatto solo per cercare di salvare un figlio accusato di un omicidio che non ha mai commesso».
Adesso è scappato. È un ergastolano evaso...
«Provo un grande dolore per quello che è successo, un dolore che merita rispetto. E provo tanta rabbia. Nino è morto per liberare il fratello, era disposto a tutto, lo diceva sempre, anche se noi ogni volta cercavamo di scoraggiarlo».
Non vi ha ascoltato.
«L’ho visto morire sotto i miei occhi. L’hanno ammazzato. Mimmo, invece, l’ho perso per un ergastolo che non esiste. Sono preoccupata per quello che gli potrà succedere».
Ma lei lo incita a scappare, o no?
«Ho solo detto che capisco la sua disperazione, che cosa si prova a essere giudicato colpevole quando sei innocente. Si può arrivare anche a dei gesti estremi. E comunque Nino non voleva fare del male a nessuno, voleva solo fare un’azione eclatante per suo fratello, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su un’ingiustizia, visto che il 4 aprile è in programma la Cassazione».
Ma c’è stato un assalto armato, un piano organizzato. E uno dei suoi figli è morto per liberare l’altro.
«L’hanno ammazzato Nino. Vogliamo capire bene come sono andate le cose. Chi ha sparato, chi ha sparato per primo. Se Nino ha sparato oppure gli hanno solo sparato. I miei figli nella loro vita hanno commesso degli errori ma non sono né boss, né killer, né collegati alla ’ndrangheta. Ne hanno dette di tutti i colori sui miei figli».
Dunque, da parte sua, nessun incitamento a scappare o alla latitanza di Domenico?
«No. Soffrivo a vederlo in carcere per un fatto che non ha compiuto. Sapere che adesso è libero, visto che era dentro per una sentenza ingiusta, da una parte mi fa piacere. Ma quello che è successo a Gallarate è una doppia tragedia. Frutto di un ergastolo confermato in appello, che non fa giustizia».
Lei sostiene che è innocente. Perché?
«Ci sono troppe cose che non tornano, per quell’omicidio hanno indagato a senso unico. Mimmo non ha commesso quel delitto e non l’ha ordinato. Quando poi si è visto incastrato ha provato a difendersi, e io ho cercato di aiutarlo, ma non è servito a niente».
Adesso è diventato tutto inutile. Non è meglio consigliargli di tornare?
«Basta, non dico più niente. In questo momento penso a mio figlio morto. Nino è arrivato a fare questa cosa perché come tutti noi credeva nell’innocenza di suo fratello ».
A breve la Lantone dovrà rispondere di falsa testimonianza in tribunale a Torino. Assieme al figlio Domenico (stessa accusa), che però adesso è in fuga. A difenderli è Roberto Grittini, il legale di fiducia della famiglia Cutrì. L’altro giorno aspettava Domenico in aula a Gallarate. «Ho sentito gli spari, è stata una follia. Attendiamo l’autopsia e i rilievi balistici per capire da che parte sono partiti i primi colpi». Oltre ai processi di Torino e Gallarate (in quest’ultimo caso per truffa e ricettazione), Grittini difende l’ergastolano anche a Milano, dove è accusato di appropriazione indebita. Il 4 aprile, al processo in Cassazione per l’omicidio di Trecate, Cutrì sarà invece difeso dall’avvocato Armando Veneto, decano del Foro di Palmi e politico dell’Unione di Centro. Chissà dove sarà quel giorno l’imputato.