Italo Carmignani e Egle Priolo, Il Messaggero 6/2/2014, 6 febbraio 2014
MEREDITH, ESPOSTO DI SOLLECITO CONTRO LA CONDANNA
LA STRATEGIA
FIRENZE Ora Raffaele Sollecito spera nel Csm e nelle otto pagine inviate alla prima commissione dell’organo di autogoverno della magistratura, al ministro Cancellieri e al procuratore generale della Corte di cassazione. Obiettivo delle otto pagine, ottenere azioni disciplinari nei confronti del presidente Alessandro Nencini della Corte d’Appello di Firenze che avrebbe parlato troppo presto di quanto troppo poco avesse parlato Raffaele nel processo per l’omicidio Kercher, chiuso (per ora) con una condanna a 25 anni per lui e 28 anni e mezzo per Amanda Knox. Strada stretta in realtà, considerando i precedenti, ma l’idea degli avvocati del giovane pugliese, Luca Maori e Giulia Bongiorno, è probabilmente quella di tentare scardinare la sentenza granitica della Corte d’assise d’appello di Firenze, appellandosi al presunto «pregiudizio» del presidente Nencini.
AZIONI DISCIPLINARI
Per quelle dichiarazioni post sentenza, Nencini ora potrebbe rischiare il trasferimento da Firenze e azioni disciplinari, richieste anche dalla prima commissione del Csm e dal procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, che ha pure avviato un’istruttoria. Senza contare che il ministro Cancellieri ha già incaricato i suoi ispettori di fare accertamenti preliminari. Strada stretta ma percorsa a capofitto da Sollecito: unica via d’uscita al conto alla rovescia fino a gennaio, quando Raffaele potrebbe finire in carcere se la Corte di cassazione dovesse rendere definitiva la condanna. Pilotata, in qualche modo, secondo gli avvocati, dall’«evidente pregiudizio» del giudice Nencini e dal suo «disprezzo» per Sollecito. Dimostrato quando «con modi sdegnosi e sbrigativi ha attribuito specifica rilevanza alla presunta scelta di non farsi interrogare». Mancato interrogatorio che il giudice dell’assoluzione ha definito «non necessario» e che magistrati di Perugia hanno spiegato non essere stato richiesto perché dopo aver scelto per due volte di non parlare col pm, «in sede di dibattimento non c’era alcun verbale d’interrogatorio cui fare riferimento: quindi nulla da contestare o da dibattere. Doveva essere la difesa a chiedere di sentirlo come fatto con Amanda».