Paolo Mastrolilli, La Stampa 6/2/2014, 6 febbraio 2014
KEVIN SPACEY: ANCHE OBAMA INVIDIA COME FACCIO POLITICA
I nostri politici sono guidati dall’ideologia, la fedeltà ad un partito, più che dalla volontà di realizzare programmi per la gente. Ma penso che finirà come sempre: verranno cacciati e sostituiti da altri, che capiscono come il progresso avviene solo attraverso il compromesso».
Difficile distinguere se chi parla qui è Kevin Spacey, premio Oscar che non ha mai rinunciato a frequentare la piazza della pubblica opinione, oppure Francis Underwood, spietato vice presidente degli Stati Uniti che interpreta nella fortunatissima serie House of Cards, prodotta da Netflix e in arrivo in Italia a primavera sugli schermi di Sky.
Qualche giorno fa il presidente Obama ha ricevuto alla Casa Bianca il Ceo di Netflix, e gli ha chiesto se gli aveva portato i vostri nuovi episodi. Che effetto fa?
«Non sapevo che il presidente guardasse House of Cards, ma la cosa che mi ha colpito di più è un’altra. Ha detto che invidia Underwood perché riesce a concludere molte cose, e a lui piacerebbe se Washington fosse così pragmatica e funzionale».
Le pare una cosa bella? Senza rivelare troppo della trama, possiamo dire che Francis è un criminale.
«Mi pare bello che la televisione sia entrata in quella che chiamo la terza età dell’oro. Negli ultimi quindici anni Hollywood si è spostata verso la produzione di film basati su supereroi, cartoni, modelli che secondo lei il pubblico apprezza. Era inevitabile quindi che gli scrittori, i raccontatori di storie originali, si trasferissero in televisione. Qui abbiamo lo spazio e il tempo per sviluppare personaggi difficili, non bravi nel loro lavoro, con relazioni famigliari complicate, non vincenti. Il successo di questi telefilm dimostra che il pubblico non vuole quello che si aspettavano i produttori».
Tornando a quel criminale di Underwood, «House of Cards» è stato definito come l’epopea della «post hope politics».
«Cosa vuol dire?».
La politica dopo che ogni speranza nobile è finita, e resta solo il tornaconto personale. La gente è disillusa, cinica, non si aspetta più nulla di buono.
«Quando mai le cose sono state diverse? È sempre così. Un presidente viene eletto, e ci sono grandi speranze, fanfare. Poi va al potere, e un minuto dopo metà paese è contro di lui. Carter, Reagan, i due Bush, Clinton e ora Obama, sono stati tutti trattati così. Di recente è cambiato che i nostri leader sono guidati dall’ideologia, e forse House of Cards pone un dilemma morale agli spettatori, perché mentre il Congresso vero non fa nulla, quello fittizio combina un sacco di cose perché è condotto da un politico senza scrupoli, votato a realizzare i suoi progetti».
È il modello del futuro?
«Ci sono molte figure della nostra storia che oggi vengono riesaminate. Sembravano personaggi machiavellici, difficili, bastardi, figli di puttana, tipo Lyndon Johnson. Eppure lui ha fatto approvare tre leggi sui diritti civili. La cosa più bella del film su Lincoln di Spielberg è che ha avuto il coraggio di mostrarlo come era davvero. Noi lo consideriamo un santo, una persona decente e buona. Eppure era disposto a qualunque cosa, pur di far passare il provvedimento con cui voleva mettere fine alla schiavitù: tangenti, posti di potere, prebende. Nulla importava più del suo obiettivo».
Obama è una vittima o un protagonista di questa polarizzazione ideologica?
«Non mi spingerei a fare simili analisi: l’ultima cosa che il pubblico vuole è un attore che pontifica».
Ma cosa ha polarizzato l’America in questo modo?
«Nella nostra storia politica ci sono sempre state divisioni profonde. Il buono degli Stati Uniti, però, è che alla fine facciamo sempre la cosa giusta, anche se per arrivarci serve una lunga e difficile battaglia».
Quindi lei crede ancora alla politica, nonostante sullo schermo interpreti il più cinico dei manipolatori?
«Ho sempre creduto nel servizio pubblico. E’ un’attività rimarchevole per ogni cittadino, che la faccia candidandosi alle elezioni, o servendo nella propria comunità. La politica non è una professione, è ciò che facciamo nella vita. Tutte le nostre relazioni sono politica, qualunque compito svolgiamo. La chiave è capire che i risultati si ottengono solo quando lavoriamo insieme».
Magari sbagliamo, ma il nostro sospetto è che Obama tema Underwood, perché sa che non si accontenterà di fare il vice presidente. Francis sostiene che «la democrazia è sopravvalutata»: non è che pensa di fare fuori il capo della Casa Bianca, per prendere il suo posto?
«Questa è solo fiction. Obama è al sicuro».