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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

“IL BLITZ? COLPA DEL VERDETTO MEREDITH”


Se proprio doveva esserci un motivo per un’evasione da film, quello scelto dalla signora Antonella Cutrì per l’assalto di lunedì davanti al tribunale di Gallarate, è spettacolare: «Tutta colpa del processo Meredith» dice, mentre attende nei corridoi della Procura di Busto Arsizio di poter parlare con il pm che coordina le indagini sulla fuga di suo figlio Domenico, il sostituto procuratore Raffaella Zappatini. Spieghi meglio, signora. «Ma sì, è stata quella la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la sentenza Meredith. Ma come, a quella che ha scannato una povera ragazza nel letto hanno dato 28 anni, mentre al mio Mimmo, che è innocente, l’ergastolo? È per questo che Nino ha deciso di liberare Mimmo».
La signora Cutrì ne fa insomma una questione di giustizia. E non fa niente se alla fine il bilancio è stato di un figlio morto, un altro latitante e un altro ancora, il più piccolo, Daniele, che non si sa bene che fine abbia fatto, sospettato pesantemente di aver organizzato la fase logistica per la latitanza di Domenico in Calabria. In una dichiarazione dell’altro ieri, riportata dal Corriere della Sera, Antonella si è spinta a dire una cosa che più che un messaggio sembrava un ordine: «Mimmo, ascoltami: non ti costituire. Tuo fratello si è sacrificato per te. Non ti consegnare, Mimmo. Scappa, scappa Mimmo. Altrimenti Nino è morto per niente». Cosa che ha fatto infuriare più di un inquirente anche se in fondo è sembrata una conferma di ciò che fin da subito gli investigatori hanno pensato: e cioè che la cruenta evasione dell’ergastolano Domenico, sarebbe stata tutto un affare di famiglia, dove ciascuno ha avuto un ruolo. Allargato probabilmente a qualche amico fidato visto che i Cutrì non sono affatto organici alla ’ndrangheta ma vantano sicuri appoggi e conoscenze «altolocate» negli ambienti delle ’ndrine calabresi. Consapevole dell’esposizione, la signora Antonella ieri in Procura ha fatto un po’ marcia indietro: «Io sono sicura che se Mimmo avesse la garanzia di un processo giusto, si costituirebbe». Poi, di nuovo un acuto: «Comunque, avessi potuto, lo avrei fatto scappare anch’io!». Quindi, una correzione: «Questa l’ho detta grossa...». Sì ma, le guardie assalite, le armi, gli spari? «Volevano fare solo un’azione dimostrativa per far parlare dell’ingiustizia che ha subito Mimmo». E meno male che era solo «dimostrativa», perché sull’asfalto davanti al piazzale del tribunale di Gallarate, i carabinieri hanno contato ben 32 bossoli, di cui 28 calibro 9, attribuiti ai banditi, e 4 calibro 7,65, attribuiti alle guardie. Ma per Antonella Cutrì questi, in un certo senso, sono dettagli.
Al di là di ciò che dice davanti ai giornalisti, rimane pur sempre una madre devastata dal dolore della perdita di un figlio che ha visto morire sotto i suoi occhi. Così, quando alle 10 e mezzo del mattino arriva nella Procura di Busto per chiedere di poter rivedere il corpo di Nino, lo sguardo fiero lascia il passo alle lacrime che ogni tanto le riempiono gli occhi. E dopo il colloquio con il magistrato, Antonella Cutrì deve rassegnarsi ad aspettare ancora a lungo. Perché il pm Zappatini, che ora procede oltre che per l’evasione anche per tentato omicidio e lesioni gravi verso le guardie, ha disposto anche una Tac oltre all’autopsia: si vuole capire se a colpire al collo Antonino Cutrì sia stato un proiettile sparato dagli agenti, come sembrano convinti i suoi familiari, oppure dagli stessi banditi. Intanto proseguono le ricerche dell’evaso e dei suoi complici. Gli inquirenti hanno accertato che il fratello minore, Daniele, 24anni, domenica era effettivamente a Napoli e poi si sarebbe spostato in Calabria. Quindi non avrebbe partecipato alla liberazione del fratello a Gallarate. «Questo però - dice un investigatore - non fa di lui un estraneo all’azione».
Se proprio doveva esserci un motivo per un’evasione da film, quello scelto dalla signora Antonella Cutrì per l’assalto di lunedì davanti al tribunale di Gallarate, è spettacolare: «Tutta colpa del processo Meredith» dice, mentre attende nei corridoi della Procura di Busto Arsizio di poter parlare con il pm che coordina le indagini sulla fuga di suo figlio Domenico, il sostituto procuratore Raffaella Zappatini. Spieghi meglio, signora. «Ma sì, è stata quella la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la sentenza Meredith. Ma come, a quella che ha scannato una povera ragazza nel letto hanno dato 28 anni, mentre al mio Mimmo, che è innocente, l’ergastolo? È per questo che Nino ha deciso di liberare Mimmo».
La signora Cutrì ne fa insomma una questione di giustizia. E non fa niente se alla fine il bilancio è stato di un figlio morto, un altro latitante e un altro ancora, il più piccolo, Daniele, che non si sa bene che fine abbia fatto, sospettato pesantemente di aver organizzato la fase logistica per la latitanza di Domenico in Calabria. In una dichiarazione dell’altro ieri, riportata dal Corriere della Sera, Antonella si è spinta a dire una cosa che più che un messaggio sembrava un ordine: «Mimmo, ascoltami: non ti costituire. Tuo fratello si è sacrificato per te. Non ti consegnare, Mimmo. Scappa, scappa Mimmo. Altrimenti Nino è morto per niente». Cosa che ha fatto infuriare più di un inquirente anche se in fondo è sembrata una conferma di ciò che fin da subito gli investigatori hanno pensato: e cioè che la cruenta evasione dell’ergastolano Domenico, sarebbe stata tutto un affare di famiglia, dove ciascuno ha avuto un ruolo. Allargato probabilmente a qualche amico fidato visto che i Cutrì non sono affatto organici alla ’ndrangheta ma vantano sicuri appoggi e conoscenze «altolocate» negli ambienti delle ’ndrine calabresi. Consapevole dell’esposizione, la signora Antonella ieri in Procura ha fatto un po’ marcia indietro: «Io sono sicura che se Mimmo avesse la garanzia di un processo giusto, si costituirebbe». Poi, di nuovo un acuto: «Comunque, avessi potuto, lo avrei fatto scappare anch’io!». Quindi, una correzione: «Questa l’ho detta grossa...». Sì ma, le guardie assalite, le armi, gli spari? «Volevano fare solo un’azione dimostrativa per far parlare dell’ingiustizia che ha subito Mimmo». E meno male che era solo «dimostrativa», perché sull’asfalto davanti al piazzale del tribunale di Gallarate, i carabinieri hanno contato ben 32 bossoli, di cui 28 calibro 9, attribuiti ai banditi, e 4 calibro 7,65, attribuiti alle guardie. Ma per Antonella Cutrì questi, in un certo senso, sono dettagli.
Al di là di ciò che dice davanti ai giornalisti, rimane pur sempre una madre devastata dal dolore della perdita di un figlio che ha visto morire sotto i suoi occhi. Così, quando alle 10 e mezzo del mattino arriva nella Procura di Busto per chiedere di poter rivedere il corpo di Nino, lo sguardo fiero lascia il passo alle lacrime che ogni tanto le riempiono gli occhi. E dopo il colloquio con il magistrato, Antonella Cutrì deve rassegnarsi ad aspettare ancora a lungo. Perché il pm Zappatini, che ora procede oltre che per l’evasione anche per tentato omicidio e lesioni gravi verso le guardie, ha disposto anche una Tac oltre all’autopsia: si vuole capire se a colpire al collo Antonino Cutrì sia stato un proiettile sparato dagli agenti, come sembrano convinti i suoi familiari, oppure dagli stessi banditi. Intanto proseguono le ricerche dell’evaso e dei suoi complici. Gli inquirenti hanno accertato che il fratello minore, Daniele, 24anni, domenica era effettivamente a Napoli e poi si sarebbe spostato in Calabria. Quindi non avrebbe partecipato alla liberazione del fratello a Gallarate. «Questo però - dice un investigatore - non fa di lui un estraneo all’azione».