Francesco Manacorda, La Stampa 6/2/2014, 6 febbraio 2014
DALLE BANCHE ALLE IMPRESE IL GRANDE FREDDO COL GOVERNO
La pace? Macché, appena una tregua. E se gli uomini del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ieri sera escono da Palazzo Chigi ostentando soddisfazione d’ordinanza perché, spiegano, «il premier ci ha convocati e ci ha assicurato che si presenterà il 19 febbraio al nostro consiglio direttivo con soluzioni vere sui punti che ci interessano», la realtà è che tra due settimane Enrico Letta conta di portare agli industriali i capitoli che più li interessano dell’«Impegno 2014», ossia il patto di coalizione che dovrebbe far ripartire il governo. Quattro punti in particolare, quelli che Letta vorrebbe affrontare con Confindustria: credito alle imprese, investimenti (anche quelli dall’estero), riduzione del costo del lavoro e riduzione della burocrazia. Proprio sul tema del lavoro, però, al patto di coalizione manca ancora una gamba importante: quella del Jobs Act, il piano per il lavoro annunciato da Matteo Renzi che ancora non pare concretizzarsi.
Anche al netto delle schermaglie diplomatiche, comunque, il «sentiment» - come dicono loro - di operatori finanziari e uomini d’industria verso l’esecutivo Letta è ben lontano dai livelli record che si registravano ancora pochi mesi fa. Il governo, è l’accusa più o meno velata che rimbalza tra le banche milanesi e i centri del potere confindustriale, non «delivera» - altro orribile anglicismo per dire in sostanza che non rispetta gli impegni presi - o almeno non «delivera» abbastanza in fretta. Di Confindustria si sa; le critiche di Squinzi - che nell’incontro di ieri a Palazzo Chigi non si è certo rimangiato - nascono da quell’8% di Pil perso nel giro di soli cinque anni e si accendono quando proprio dai palazzi di governo si annuncia una ripresa imminente o già in atto. Ieri in sintonia con Squinzi si trova anche Romano Prodi. In un incontro milanese il padre dell’Ulivo, che già aveva esortato Letta a uno scatto, colpisce duro: «Non vedo la vigorosa ripresa di cui alcuni parlano, ma una lieve ripresa». E poi, parlando appunto di quell’8% del Pil perso: «Dobbiamo andare ben oltre una crescita dello “zero virgola”, c’è necessità di una spinta ulteriore».
Ma i banchieri, che hanno appena avuto la rivalutazione delle quote possedute in Bankitalia, hanno anche loro da lamentarsi? «Intanto non parliamo di regalo alle banche - risponde piccato uno di loro che guida un medio istituto -, ma casomai di regalo a due grandi banche che hanno grosse quote della Banca d’Italia. Io a bilancio ho solo uno zero virgola qualcosa che potevo benissimo fare a meno di rivalutare e sul quale adesso devo pagare le tasse. Altro che regalo, se me lo avessero chiesto ne avrei fatto volentieri a meno». E il bello è che discorsi assai simili si sentono dalle parti dell’Abi, che rappresenta tutte le banche - comprese Intesa-Sanpaolo e Unicredit che sono i maggiori azionisti della Banca d’Italia - e che alla lista delle lamentele aggiunge anche la Tobin tax sugli scambi finanziari, e l’aumento dell’anticipo Irap dal 127,5 al 136%.
Sulle banche poi pesa anche la crisi dell’economia reale, con una montagna di crediti in sofferenza - quasi 150 miliardi lordi - che se si trasformano in singoli casi diventano un milione e duecentomila imprese, da quella grande alla Srl individuale, che non riescono più a pagare i loro debiti. Difficile spezzare il circolo tra aziende in crisi e banche in sofferenza senza che l’economia riparta. E difficile che l’economia riparta senza che si allenti un po’ il dogma dell’austerità, «Ma è anche difficile - spiega un altro esponente della City milanese - che un’Italia che in questi mesi non ha fatto riforme fondamentali possa trovare dai partner europei un atteggiamento comprensivo per ammorbidire i vincoli sul bilancio pubblico».
Siamo di nuovo al governo che non «delivera». Sono uomini di numeri, i banchieri, che non amano i personalismi e - scottati dalle esperienze di qualche collega - rifuggono le dichiarazioni politiche. Però non sarà un caso se da qualche mese si segnalano alcuni di loro che oltre a compulsare le pagine del Financial Times seguono con grande interesse pensieri e parole di Renzi. Lo stesso Renzi che oggi a Firenze incontrerà a un dibattito sulle città metropolitane Gianfelice Rocca, numero uno di quell’Assolombarda fino a pochi mesi espressione di un mondo che guardava a Berlusconi e che oggi, con il nuovo presidente, guarda più ai risultati che agli schieramenti.