Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano 6/2/2014, 6 febbraio 2014
PHILIP SEYMOUR HOFFMAN SCENEGGIATURA DI UNA MORTE
Non c’è pace per Philip Seymour Hoffman. Morto domenica scorsa per overdose, i funerali in forma privata sono previsti domani a New York, ma è l’unica cosa certa: illazioni, smentite, rivelazioni, contro rivelazioni, accuse, tutto è in continuo divenire, come se uno sceneggiatore impietoso fosse all’opera sulla memoria dell’attore premio Oscar. Che postumo si trova protagonista del film che non avrebbe, e non avremmo, mai voluto vedere: La vita licenziosa di P.S. Hoffman o, se preferite, Gli sciacalli contro P.S. Hoffman.
ULTIMO ad alzare il sipario sul backstage intimo di P.S. è chi ha scoperto il suo corpo esanime nell’appartamento di Manhattan, il drammaturgo 44enne David Bar Katz. In prima battuta, ovvero lunedì, aveva affermato di averlo visto “la scorsa settimana: era pulito e sobrio, come lo conoscevo. Credevo davvero che questo capitolo (la droga, ndr) fosse ormai chiuso”. Katz era andato a controllare, insieme all’assistente personale dell’attore Brit Isabella Wing-Davey, dopo che Hoffman non aveva prelevato dal parco giochi i figli alle nove del mattino di domenica: l’aveva trovato riverso nel bagno, nel braccio ancora la siringa, vicino altre 20 usate e 49 buste di eroina.
Numeri ballerini, sulla ruota della disgrazia: si è partiti da 5 dosi per arrivare a 350, e poi scendere a 70, aggiungendo una più o meno fantomatica stampigliatura, “Ace of Spades”, sulle bustine e un devastante additivo, il fentanyl, poi non confermato. E non è roba da poco: il cocktail eroina-fentanyl imputato a Hoffman era quello che aveva recentemente ucciso 22 persone in Pennsylvania.
Ma lo sceneggiatore senza pietas non si ferma qui, e attraverso Katz s’addensano altri misteri. David si rimangia la prima versione, e ieri al National Enquirer, un magazine americano, ne offre una diametralmente opposta, che fa scalpore: “Ero l’amante gay di Philip Seymour Hoffman e l’ho visto pippare coca la sera prima che morisse”.
Nonché farsi di eroina in svariate occasioni. Sensazionale, anzi, sensazionalistico: altro che sobrio e pulito, Philip era ricascato con due braccia nella droga, e “il suo amante” lo sapeva bene. Almeno, fino a un certo punto: avevano in programma un weekend di svago, Superbowl in testa. Ma “quel che è successo è così terribile”, e Katz fa una mezza marcia indietro: “Non pensavo la sua dipendenza fosse arrivata a questo punto”. Dunque, abbiamo: una siringa ancora in vena, un quantitativo “a elastico” di bustine di eroina nel lussuoso appartamento di West Village e un auto-dichiarato gay lover. Non solo, gli arresti: quattro persone, tre ragazzi e una studentessa di teatro, con – ancora! – 350 buste di eroina sono state fermate martedì sera in relazione alla morte di Hoffman durante la perquisizione di tre appartamenti al civico 302 di Mott Street, No-lita, zona ultra-bene di Manhattan.
SONO DAVVERO collegate e, ancora, è lo stesso appartamento – la polizia avrebbe ricevuto una soffiata in merito – dove, dopo aver prelevato sabato scorso 1.200 dollari al bancomat sottocasa, s’era rifornito Hoffman? Molti meno, 50 dollari, come lamentava Marilyn Monroe sono quelli che Hollywood offre per la tua anima, e il post mortem di Philip conferma. Ancora non è finita, e la famiglia? Se Katz ha quattro figli, l’attore ne aveva tre – Cooper, 10 anni; Tallulah, 7; Willa, 5 – dalla compagna costumista Mimi O’Donnell conosciuta nel 1999 dietro le quinte di In Arabia We’d All Be Kings.
Dopo 12 anni di relazione con Mimi, se n’era andato di casa a fine dicembre, e ora supposti amici ritracciano la linea di rottura: Hoffman lottava tra l’omosessualità e l’amore per Mimi e i figli, e il dissidio l’avrebbe fatto sprofondare nuovamente nella droga. Facile, no?
Mai dire sì, questo insegna davvero l’affaire Hoffman, che tra scoop, scandali e occhiuta damnatio memoriae cancella i tempestivi acronimi di cordoglio globale su Twitter, Facebook e social vari: R.I.P., ovvero Rest In Peace . E torna in mente una battuta di Hoffman nel film che gli ha dato l’ambita statuetta nel 2006, Truman Capote – A sangue freddo: “Sin da quando ero bambino, la gente pensava di avermi etichettato, per quello che sono, per come parlo. Ma avevano sempre torto”.