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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

ACEA, MARINO PREPARA LO SCONTRO CON CALTAGIRONE


Acea 2-La rivincita è in programma per la metà di aprile. In quei giorni si terrà l’assemblea dei soci della grande municipalizzata romana della luce e dell’acqua e il sindaco Ignazio Marino, azionista di maggioranza con il 51 per cento, intende cogliere la palla al balzo per ribaltare l’esito dell’assemblea del 2013, quando fu preso a pesci in faccia. Mancavano un paio di settimane alle elezioni comunali e Marino, candidato del centrosinistra con i sondaggi in poppa, si presentò all’assemblea Acea per rivolgere ai consiglieri una raccomandazione tutta politica, di politica gestionale per la precisione. Li pregò di aspettare le elezioni prima di assumere decisioni importanti per il vertice societario. Se avesse chiesto a quei signori di ballare sulle punte forse gli avrebbero dato più retta e infatti seduta stante si rinnovarono gli incarichi per tre anni. Di lì a poco Marino divenne sindaco e da allora è costretto a sopportare l’anomala condizione di chi non può fare il padrone in casa propria perché altri si sono accomodati in salotto. L’Acea è un bancomat con i fiocchi. Nei primi 9 mesi del 2013 ha macinato un utile di quasi 105 milioni di euro grazie soprattutto alle bollette dell’acqua, mentre all’orizzonte si profila un nuovo Eldorado: i rifiuti, come spiega in un report il centro di analisi Intermonte. Ma all’Acea il comune di Roma conta poco: con appena il 16 per cento del capitale comanda il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone. Dei 9 consiglieri in carica, tranne i due indicati dai francesi di Suez (l’altro azionista privato), gli altri 7, a cominciare da Francesco Caltagirone junior, orbitano tutti intorno all’imprenditore capitolino. Compreso il dalemiano Andrea Peruzy, designato sulla carta dalla ex minoranza di centrosinistra in Campidoglio, ma di fatto agente di complemento di Caltagirone.
NONOSTANTE gli inviti del sindaco alla prudenza, negli ultimi mesi i manager pro Caltagirone hanno rafforzato la presa sulla prima linea aziendale scegliendo 7 nuovi dirigenti e oggi nelle posizioni di comando è difficile scovare qualcuno estraneo al clan. Di frequente ci si imbatte in nomi noti, come Paolo Zangrillo, per esempio, capo del personale e fratello minore di Alberto, il medico di Berlusconi. O Salvo Buzzanca, responsabile dei rapporti con i giornali, fratello di Lando, il bravo attore che non ha mai nascosto predilezioni per la destra. Il presidente del collegio sindacale è addirittura il commercialista di Caltagirone, Enrico Laghi. Maurizio Sandri, invece, a lungo responsabile delle relazioni esterne, è stato addirittura licenziato perché ritenuto di una parrocchia non gradita, così come risulta dalla sentenza che qualche settimana fa lo ha reintegrato al suo posto e nella quale un testimone spiega come i capi Acea volessero cambiare in fretta per ripulire l’azienda da “froci, ebrei e comunisti”. Proprio mentre Marino fa capire di voler aprire il dossier della municipalizzata, si precipita a sostegno di Caltagirone il soccorso rosso. Nel giro di pochi giorni, sono stati presentati in Senato tre emendamenti per indurre il comune di Roma a vendere quote di Acea. Da ultimo è toccato a tre senatori Pd guidati da Giorgio Santini e prima era stata la volta di Linda Lanzillotta, vice presidente del Senato, ora di Scelta Civica ma in passato eletta tra i piddini e per sei anni assessore a Roma.
LANZILLOTTA aveva elaborato due testi per agevolare la cessione fino al 21 per cento di Acea. Con lei c’è un bel pezzo di ex rutelliani, ora renziani romani del Pd, dall’ex ministro Paolo Gentiloni a Roberto Giachetti a Lorenza Bonaccorsi. Stando alla Borsa dove è quotata, Acea vale 1 miliardo e 800 milioni di euro e a spanne il 21 per cento sono 360 milioni. Tanti in assoluto, pochi per uno come Caltagirone che vanta 8 miliardi in banca (e che ha detto spesso di non voler comprare direttamente dal Comune). In quegli emendamenti c’è una foglia di fico: il controllo deve restare pubblico. Ma vallo a spiegare ad uno come Caltagirone che potrebbe salire fino al 37 per cento (con il Comune che scende al 30), che non deve comandare quando già spadroneggia con appena il 16.