Arianna Ravelli, Corriere della Sera 6/2/2014, 6 febbraio 2014
VILLAGGIO E SANGUINETI AMABILI CONVERSAZIONI
La barba di Tatti Sanguineti intervista la barba di Paolo Villaggio: un savonese comico involontario parla di cinema con un genovese «comico applicato» (così si autodefinisce Villaggio, quasi dispiacendosi di non appartenere ai «comici nati»; certo il genovese ha il «risu reu», la risata misurata). Non solo cinema: ma anche letteratura (gli autori che Villaggio ama di più sono Kafka e Dostoevskij, mica i best-seller della cultura pop), ma anche geografia, ma anche figure retoriche come l’anacoluto (Iris, martedì, ore 23).
Una precisazione: amo Paolo Villaggio, molto meno la maschera di Fantozzi. Villaggio mi piace perché è ribaldo e sregolato, perché riesce a non farsi mai mancare una punta di sana malignità (il «colonnello» Vittorio Gassman deve tutto a Monicelli…). Villaggio lo si riconosce bene nei suoi primi interventi televisivi, dove riusciva a prendere in giro le vestali dell’arte colta che non volevano sporcarsi le mani con la tv, meno in Fantozzi, una figura troppo «applicata».
Fantozzi, in fondo, è troppo soddisfatto della sua malasorte per essere credibile: sa che la sua fama cresce in proporzione alla rogna e invece di sfidare le avversità si mette a corteggiarle, in una sorta di melenso autocompiacimento, di drammatizzato masochismo di riporto. Nessuna sfortuna gli resiste, nessuna iella gli è estranea, nessuna tentazione a soffrire lo lascia indifferente.
La barba savonese di Sanguineti ama tutto del cinema, riesce a conquistare la benevolenza genovese della barba che gli sta di fronte (cosa rara). Così Villaggio si lancia sulla scuola napoletana («Peppino era meglio di Eduardo», verissimo!), su quella romana («Sordi interpreta alla perfezione il cinismo e la cattiveria dei romani, disposti a non perdonare nulla»), su Fellini, su Olmi. Una conversazione piacevole, indifferente agli smarrimenti sintattici dell’anacoluto.