Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

«AMPUTATO, SENTO GLI OGGETTI AL TATTO» LA MANO BIONICA CHE PARLA AL CERVELLO


Una mano artificiale che sente ciò che tocca. Capace di calibrare la forza per una carezza e trasmettere al cervello la sensazione tattile corrispondente. È la prima al mondo, funziona, ed è stata innestata in Italia. La fantascienza diventa realtà e Dennis, 36 anni, danese, amputato della mano sinistra, dopo 8 ore di intervento per creare le sinapsi artificiali tra le fibre nervose del suo moncone e i sensori dell’arto indossabile, è un «uomo bionico». Quella mano ubbidisce al suo pensiero come mai altra protesi artificiale prima; dialoga con il suo cervello facendogli «sentire» forme e consistenza degli oggetti e consentendogli di manipolarli con la giusta forza.
LifeHand2, così si chiama il prototipo di mano bionica, è il seguito del progetto di ricerca che 5 anni fa portò alla prima protesi capace di rispondere a impulsi cerebrali. La sperimentazione che ha reso possibile il nuovo passo verso l’impianto definitivo di mani bioniche è frutto di un progetto che vede l’Italia in prima linea. Ci hanno lavorato medici e bioingegneri dell’università Cattolica-Policlinico Gemelli e dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Istituto San Raffaele di Roma. Fanno parte del gruppo di ricerca anche l’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e l’Istituto Imtek dell’università di Friburgo.
La storia del protagonista ha inizio dieci anni fa. Era il capodanno del 2004, quando Dennis Aabo Sorensen subì l’amputazione della mano sinistra, distrutta da un petardo. Da allora solo una protesi estetica e l’impegno a ricominciare con la forza d’animo che gli ha permesso di superare i test psicologici di selezione e arrivare a Roma per affrontare la fase sperimentale di LifeHand 2 (finanziato da Ue e ministero della Salute italiano). La comunicazione tra cervello di Dennis e mano artificiale ha funzionato grazie a un complesso sistema d’impulsi tra centro e periferia, organismo e arto artificiale, che ha avvicinato la scienza alla riproduzione del fenomeno naturale. «Il feedback sensoriale è stata un’esperienza stupenda — racconta Dennis —. Tornare a sentire la consistenza degli oggetti, capire se sono duri o morbidi e avvertire come li impugnavo è stato incredibile». In otto giorni di esercizi Dennis ha riconosciuto la consistenza di oggetti duri, intermedi e morbidi in oltre il 78% di prese effettuate. Nell’88% dei casi ha definito correttamente dimensioni e forme di oggetti come una palla da baseball, un bicchiere, un mandarino. E ha localizzato la loro posizione rispetto alla mano con il 97% di accuratezza, riuscendo a dosare con precisione non troppo distante da quella di una mano naturale la forza da applicare per afferrarli.
Il collegamento tra sistema nervoso e protesi biomeccatronica sono stati quattro elettrodi intraneurali, poco più grandi di un capello, impiantati nei nervi mediano e ulnare del braccio. Un intervento delicato, eseguito il 26 gennaio 2013 al Policlinico «Agostino Gemelli» di Roma dal neurochirurgo Eduardo Marcos Fernandez. Sviluppati nel Laboratorio di Microtecnologia biomedica Imtek di Friburgo, sotto la direzione di Thomas Stieglitz, gli elettrodi sono stati impiantati trasversalmente rispetto ai fascicoli nervosi, per moltiplicare la possibilità di contatto con le fibre dei nervi e la capacità di comunicazione col sistema nervoso centrale. Il gruppo di lavoro coordinato da Silvestro Micera, bioingegneria all’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e all’Ecole Polytecnhique Federale di Losanna, ha sviluppato gli algoritmi capaci di trasformare in linguaggio comprensibile al cervello le informazioni provenienti dalla mano artificiale. Racconta Micera: «Il paziente è riuscito a modulare in modo efficace e in tempo reale la forza di presa da applicare. Ha svolto gli esercizi bendato, riconoscendo le proprietà degli oggetti grazie all’invio di informazioni sensoriali dalla protesi al sistema nervoso. Non si era mai realizzato qualcosa di simile».
Nel 2008 la protesi biomeccatronica CyberHand rispose per la prima volta ai comandi di movimento trasmessi dal cervello del paziente. Ma permetteva di compiere solo tre movimenti (presa a pinza, chiusura del pugno e movimento del mignolo) e non restituiva nessuna sensazione. E il futuro? «Questa sperimentazione — spiega Eugenio Guglielmelli, direttore del Laboratorio di Robotica biomedica e biomicrosistemi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma — ci fa guardare con fiducia all’obiettivo d’integrare in queste protesi un numero più elevato di sensori tattili. Più aumenta la complessità di sensazioni e movimenti, più sarà importante trovare algoritmi che distribuiscano i compiti da assegnare al cervello e quelli che possono essere delegati al controllo dell’intelligenza artificiale montata sulla mano. La ricerca prosegue».