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 2014  febbraio 06 Giovedì calendario

LA PAY TV PUNTA SU FORMAT POPOLARI


La perdita di un programma come Italia’s got talent, uno dei principali brand di Canale 5 con punte da 7 milioni di telespettatori e 35% di share, è un brutto colpo da incassare per Mediaset. Andrà a Sky, e al Biscione cercano di correre ai ripari. La casa di produzione Fascino, controllata al 50% da Maria De Filippi e al 50% da Cologno Monzese, è già al lavoro per studiare un format simile a Igt (non sarà la Corrida, ritenuto un po’ troppo agee), confermando la giuria con Gerry Scotti, Rudy Zerbi e la De Filippi stessa.
Non c’è stato, invece, alcun interessamento al format de L’Isola dei famosi, in portafoglio a Magnolia e per ora messo in soffitta dalla Rai. «Ovvio, una volta perso Igt, le voci su format si rincorrono, qualcuno ha anche interesse a metterle in giro per riuscire a strappare contratti con qualche altro gruppo televisivo. Ma noi non siamo interessati all’Isola», spiegano da Mediaset.
L’atteggiamento aggressivo di Sky fa riflettere il Biscione pure sulle politiche da perseguire sul fronte Premium: è noto che il business della pay tv, lanciato proprio per frenare l’ascesa di Rupert Murdoch in Italia, non ha mai portato utili, e che si sta tentando di trovare partner internazionali con cui portare avanti l’iniziativa. Per il momento si prosegue a investire, in particolare su una stagione 2014 dei canali Joy, Mya, Crime e Action che sarà «la più ricca di sempre» (slogan molto caro anche alla comunicazione Sky).
Ma è ovvio che se Sky, nella gara sui diritti calcio Serie A per il triennio 2015-2018, dovesse per esempio fare offerte «a cui la Lega non potrà dire di no», strappando l’esclusiva pay su tutti i match, Mediaset abbandonerebbe il comparto. In quanto, come sottolineato tempo fa dallo stesso Marco Giordani, a.d. di Rti, «quello della pay non è un business fondamentale per noi, al contrario di Sky».
Certo, il passaggio di un marchio popolare della televisione come Italia’s got talent a una platea più elitaria come quella di Sky è una case history clamorosa per tanti direttori marketing della Penisola sulle dinamiche di posizionamento di un brand e sulla evoluzione di queste tecniche.
La società FremantleMedia, che da anni detiene i diritti del format, ha infatti preso un prodotto di massa, che, come detto, su Canale 5 raggiungeva in media 5 milioni di persone e anche il 35% di share, e lo ha ritirato dagli scaffali del supermarket tv.
In questi mesi ripenserà il packaging, ma poi riproporrà su Sky sostanzialmente la stessa cosa (altrimenti non avrebbe senso l’acquisto di un format): sulla piattaforma satellitare, tuttavia, Igt avrà un pubblico molto più ristretto (diciamo un milione di persone, il 4-5% di share), e, nonostante questo, FremantleMedia avrà incassi maggiori (circa 25 milioni di euro in due anni, sia perché Sky paga più di Mediaset il format, sia perché Sky, a differenza di Mediaset che se lo produceva da solo, affiderà a FremantleMedia stessa la realizzazione di Italia’s got talent).
Insomma, per fare un esempio più semplice, è come se Coca Cola decidesse di ritirare le sue lattine dai bar e dalla grande distribuzione, le sottoponesse a un restyling, e dopo qualche mese decidesse di commercializzare la bevanda (sempre la stessa) rivisitata nel packaging solo in un ristretto circuito di punti vendita, a un prezzo maggiorato, riuscendo alla fine ad aumentare il fatturato.
Un fenomeno, insomma, assolutamente interessante. E piuttosto unico. In passato, infatti, è accaduto che marchi un tempo molto popolari e cheap, come la Cinquecento o la Mini, venissero rivisitati in chiave metropolitana e glamour, ritoccando il prezzo all’insù anche magari senza giustificazioni intrinseche. Ma in quel caso i modelli originali erano un po’ passati di moda, vi era stato un periodo di decantazione tale da fare entrare quei marchi nel terreno del vintage. In questo caso, invece, Igt, in pochi mesi, passa da trasmissione più vista su Canale 5, considerata una specie di Corrida con fenomeni da baraccone e realizzata per un pubblico di grana grossa come quello generalista, a spettacolo con piglio internazionale e dal listino prezzi molto più alto di prima nonostante il pubblico ristretto. Complimenti a Lorenzo Mieli e alla sua FremantleMedia.
In tutto ciò, ovviamente, vi è soprattutto la strategia di Sky: che, conscia del fatto che i suoi abbonati, nella gran parte (vedere ItaliaOggi del 1° febbraio), passano il loro tempo a vedere le trasmissioni delle reti generaliste disponibili anche in chiaro, pesca proprio da lì i brand più popolari, per servirli poi in esclusiva ai suoi clienti, indebolendo i palinsesti dei concorrenti. Così per fenomeni di massa come il calcio di Serie A, delle coppe europee, dei Mondiali, oppure la Formula 1 o il MotoGp; così per X-Factor, per il personaggio-brand Simona Ventura (in passato si tentò con Fiorello, ma forse era troppo presto), e, ora per Igt. Una serie di fenomeni che scompaiono dal radar del cosiddetto popolo, per andare nella tv delle élite culturali. Che si ritrovano a pagare per qualcosa che, fino a qualche mese prima, avevano gratis. Come ama dire qualche sociologo, quindi, il cibo televisivo per sfamare le masse diventa oggi il caviale in cima alla coppa di scampi servita alle classi dirigenti che hanno la pay tv satellitare. Che, lentamente, fagocita tutto. Gli eventi più popolari spariscono, editori e case di produzione accettano di avere pubblici più piccoli, a fronte, però, di incassi più alti. Ancora una volta, quindi, la leggenda della visibilità viene sfatata: meglio tanti euro.
E se mai si potesse fare una offerta per il Festival di Sanremo, chissà che fine farebbe la kermesse musicale ora trasmessa dalla Rai.