Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 6/2/2014, 6 febbraio 2014
IL LAZIO È LA REGIONE PIÙ CORROTTA
Corruzione. È stata oggetto anche di una tesi di laurea, che ha consentito a Simona Corrado (università dell’Aquila) di diventare dottore in Economia. Una ricerca sul campo, incrociando dati e rilevando tendenze. Ne esce l’identikit del malaffare nel nostro Paese.
Innanzi tutto la classifica delle regioni per tasso di corruzione: il tasso è ricavato dal numero dei casi denunciati nel periodo 1980-2004 («crimini commessi dai funzionari pubblici ai danni della pubblica amministrazione») per centomila abitanti. In testa alla classifica c’è il Lazio con un tasso di corruzione 96 (cioè 96 casi ogni 100.000 abitanti), seguono: Molise (90), Valle D’Aosta (79), Liguria (77), Calabria (70), Sicilia e Sicilia (62), Friuli (61), Abruzzo (60), Campania (56), Basilicata (50), Toscana (49), Puglia (48), Umbria e Trentino (46), Piemonte (43), Marche (39), Lombardia (38), Veneto (37), Emilia-Romagna (35).
«Questi dati si riferiscono all’ufficialità», dice la ricercatrice, «sicuramente vi è anche una forte presenza di «cifra nera», cioè reati che vengono commessi, ma di cui non si ha notizia. La “cifra nera” è sicuramente alta in quanto c’è paura nel denunciare e poca fiducia nella legge. Perciò sarebbe necessario incentivare la propensione dei cittadini a denunciare i fatti di corruzione con opportuni meccanismi di impunibilità del denunciante».
Come si è “evoluta” la corruzione? Cioè qual è il tasso che si registra nel periodo successivo, dal 2004 al 2010? La classifica fotografa un mutamento geografico: al primo posto balza la Calabria, con un tasso di corruzione 19 (casi denunciati nei 7 anni ogni centomila abitanti), seguono: Basilicata (14), Molise (12) e Valle D’Aosta (12), Sicilia (10), Abruzzo (9), Puglia e Umbria (8), Campania (7), Friuli (6), Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Sardegna, Toscana, Trentino e Veneto (5), Lombardia ed Emilia-Romagna (3).
La situazione è peggiorata in alcune regioni come la Calabria, passata da 70 casi ogni centomila abitanti in 26 anni (dal 1980 al 2004 compresi) a 19 casi in 7 anni (dal 2004 al 2010 compresi) e migliorata in altre, come il Lazio (da 96 a 5). «C’è una netta distanza – commenta Simona Corrado- tra le regioni del Nord e quelle del Sud; infatti, le regioni del Nord, sono quelle che nonostante l’elevata popolosità hanno il minor numero di delitti denunciati».
La ricerca ha pure analizzato il rapporto tra la corruzione e il decentramento dei poteri: «Per quanto riguarda – si rileva- la variabile federalismo costituita dal rapporto tra tributi propri ed entrate totali si nota come in quasi tutte le regioni esista una correlazione positiva, ovvero maggiore è il decentramento e maggiore è la corruzione. Una più decentrata gestione delle risorse non porta quindi alla diminuzione della corruzione nonostante ci si aspettasse il contrario. Quindi più la governance è “multi-level” e più risulta difficile attribuire le responsabilità dei suoi risultati a questa o a quella amministrazione e minori sono le possibilità di controllo a disposizione dei cittadini».
L’aumento di un punto percentuale nell’indice della corruzione è associato ad una diminuzione complessiva del rapporto entrate pubbliche/Pil di 1,5 punti percentuali, una diminuzione del rapporto tra le entrate sotto forma di tasse e il Pil del 2,7% e un aumento del rapporto tra le entrate non da tassazione e il Pil dell’1,3%.
La corruzione diviene anche formula matematica: il burocrate vende il bene pubblico ad un prezzo pari a p+b in cui “p” è il corrispettivo per l’ottenimento del bene/servizio pubblico che va a finire nelle casse dello Stato, mentre “b” rappresenta la tangente intascata dal burocrate stesso, quindi la corruzione aumenta il prezzo del bene pubblico (e ne riduce la quantità venduta). Il risultato varia a seconda dei settori in cui si insinua l’illegalità. A sorpresa a guidare il moloch della corruzione è l’ambito della giustizia, dagli uscieri benevolenti ai curatori fallimentari disonesti (28,8%), seguono le pratiche doganali (13,9), il settore immobiliare (12,9), il sistema sanitario (10), le utilities (8,7), le imposte (6,9), l’accorciamento dei tempi per ottenere permessi di vario tipo (6,4).
In Italia (la ricercatrice fa la media di vari rapporti e delle inchieste finora effettuate) ha pagato tangenti, o dato mance finalizzate a ottenere favori illegali di una certa rilevanza, il 3,8% della popolazione, ovvero oltre un milione di persone in età lavorativa. Sul piano economico, particolarmente esposte al rischio di dovere sottostare a richieste improprie sono le piccole e medie imprese. «Esse», dice Simona Corrado, «non hanno i mezzi da dedicare alla creazione di dipartimenti specializzati a rapportarsi con i funzionari pubblici e nello stesso tempo non possono sopportare le perdite d’efficienza dovute ai tempi procedurali di sistemi poco trasparenti. Ne consegue che se non hanno la disponibilità finanziaria per far fronte all’estorsione di tangenti rischiano l’uscita dal mercato».
Poi, attenzione: spesso sentiamo lamenti sugli scarsi investimenti stranieri in Italia. Il freno arriva dalla paura della corruzione più che dall’elevato costo del lavoro (per colpa delle imposte). «Gli investimenti che risentono maggiormente di percezioni negative sul livello di corruzione di un Paese sono quelli effettuati da operatori stranieri», aggiunge la ricercatrice. «Soprattutto negativo è l’impatto sui capitali stranieri destinati ad attività che presentano un basso grado di liquidità (a differenza dei capitali destinati ad attività finanziarie) attraverso i quali gli operatori assumono un impegno di medio–lungo periodo.
In un Paese a forte corruzione gli investimenti si spostano a favore delle joint ventures, attività che avendo una componente nazionale vengono ritenute più adatte a rapportarsi col fenomeno corruttivo». Infine, quali sono le categorie percepite come più coinvolte nella corruzione in Italia? La politica (indicata da 4 intervistati su 5), le imprese (3,7), il sistema giudiziario (3,4), i media (3,3).
Quelle ritenute meno corrotte sono le organizzazioni non governative, l’esercito, il sistema educativo e la polizia.